Il Prosecco e la sfida infinita sul nome. Massimo Stefani, ideatore della Cycling: «E' un marchio mondiale, tuteliamolo tutti insieme»

Domenica 20 Agosto 2023 di Valentina Dal Zilio
Il Prosecco e la sfida infinita sul nome. Massimo Stefani, ideatore della Cycling

Il Prosecco e la sfida infinita sul nome. A dar fuoco alle polveri è stata una settimana fa la lettera con cui 160 produttori della Docg hanno bollato come illegittimo, al punto da voler chiedere i danni, l’uso generico della parola “Prosecco” sia sui cartelli del “Cammino delle colline”, sia sull’autobus ribattezzato “Prosecco Hills link”. «È illegittimo perché fa percepire di trovarsi nella denominazione Prosecco doc», era l’accusa dei ribelli che da sempre sostengono la necessità del riferimento al Conegliano-Valdobbiadene. Una frattura rimbalzata anche sulla scena politica. Nel dibattito interviene Massimo Stefani, tra i principali attori del territorio, executive manager della Prosecco Cycling - l’evento di Valdobbiadene che negli anni ha portato, tra le colline Unesco, 50 mila appassionati da 35 Paesi del mondo e che il 1° ottobre festeggerà l’edizione del ventennale. «Siamo due facce della stessa medaglia» dice.


Cosa pensa delle polemiche?
«Ho letto diversi articoli in questi giorni sul tema, anche su giornali esteri, e la cosa non è certo positiva per l’intera denominazione». 


Ma ha ragione chi dice che manca la giusta distinzione tra la zona storica del Conegliano Valdobbiadene e la Doc?
«Posso comprendere che i produttori prendano posizione su questo argomento.

Chi ha amore per la propria terra e le proprie tradizioni, le difende. A livello internazionale però, la partita è ben diversa e a mio parere, per prima cosa, bisogna siano ben chiari, al di là degli interessi delle stesse aziende, dei conferitori e di ogni singolo attore della filiera, quali sono gli obiettivi che “l’industria Prosecco” si prefigge di raggiungere nel medio e lungo periodo. A questo punto si pensi al come, e si agisca di conseguenza con competenza, coraggio, in tempi brevi e sempre nell’interesse del territorio».


Partita diversa in che senso?
«Intendo dire che privarsi della parola Prosecco, per l’area storica, perlomeno in questo momento, potrebbe voler dire gettare al vento gran parte del lavoro svolto in questi decenni, con il rischio che il mercato globale non comprenda comunque la distinzione tra le denominazioni e i territori. Questa strada comporterebbe un ingente dispendio di risorse e, mi sono chiesto più volte, con che risultato? Abbiamo promosso la Prosecco Cycling e il territorio in lungo e in largo in Europa e negli Stati Uniti, siglando un accordo sulla sostenibilità ambientale con gli eventi cicloamatoriali più importanti e partecipati al mondo. Quest’anno sarà la volta del Canada e, anche grazie a queste relazioni internazionali, ho avuto modo di percepire e verificare di persona le enormi potenzialità di crescita che il mercato potrebbe ancora offrirci. In fondo, siamo due facce della stessa medaglia».


Quindi ora più che mai bisognerebbe ragionare come una squadra? 
«Su questo non ci sono dubbi. In una situazione di caos a livello generale, dobbiamo avere dei punti fermi che sul territorio non mancano. Alla guida dei rispettivi Consorzi, dell’Associazione Unesco e delle stesse aziende vantiamo manager, tecnici, imprenditori, persone di livello che possono davvero fare la differenza. Non è una questione che si risolve tra amministratori locali e regionali o attraverso la politica che, a mio parere, deve mettere in condizione l’intera filiera di poter lavorare bene, in squadra e in prospettiva futura, con investimenti infrastrutturali - a volte basterebbero le manutenzioni ordinarie - e un sistema legislativo snello, chiaro e semplice. Le aziende dell’area storica, per lo più medio piccole, non si sentano quindi prive della loro identità, tutt’altro! La esaltino, e s’impegnino a seguire una riorganizzazione strategica “dell’industria Prosecco” sulle indicazioni di chi oggi è incaricato a gestire il fenomeno, accettando anche scelte, purché giustificate e lungimiranti, anche se in prima battuta potrebbero sembrare impopolari, contro corrente».


Ha parlato di riorganizzazione strategica, come la vedrebbe?
«Vorrei partire da una considerazione molto semplice. Valdobbiadene è una delle poche destinazioni italiane che si riconosce in un prodotto, in questo caso il Prosecco Superiore Docg. Spetta a noi saperne esaltare la qualità, il sistema di allevamento della vite sulle nostre colline con le sue peculiarità, cosa non replicabile in altri contesti e uguale a: unione prodotto territorio. La sfida per il futuro va in questa direzione ed è quella di unire le competenze, fidelizzare la gestione delle risorse umane e dar seguito ai cambiamenti, anche radicali, non solo sulle scelte strategiche che riguardano il prodotto, ma più in generale sulla formazione, sull’ospitalità, esaltando le piccole produzioni locali, la storia, le tradizioni, l’arte e il recupero dei fabbricati rurali. Diventa fondamentale cercare e condividere una via percorribile verso la piena sostenibilità ambientale per trovare, sin da subito, conferme e aperture verso altri mercati. Se il territorio ha valore, il prodotto ha futuro. Comprendo l’aspetto emotivo e il legame storico, ma proprio per questo, consapevoli delle potenzialità e in prospettiva dei tempi che verranno, si dovrà attivare rapidamente, tra le denominazioni e non solo, un forte legame e una strategia condivisa verso il mercato globale».

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