«Non voglio mangiare o essere idratato»:
malato terminale 70enne lasciato morire

Domenica 4 Marzo 2012 di Mauro Favaro
Una stanza della Casa dei gelsi (archivio)
TREVISO - Non voglio pi n mangiare n essere idratato. questa la richiesta che qualche tempo fa si sono sentiti rivolgere i medici e gli infermieri che lavorano nell'hospice Casa dei gelsi, struttura di Treviso gestita dall'associazione Advar dove sono ospitati e assistiti malati di cancro in stadio avanzato.



La disperata volontà è stata pronunciata da Antonio (il nome è di fantasia), settantenne non sottoposto ad alcuna forma di nutrizione forzata, rimasto senza familiari e colpito da un tumore ormai giunto alla fase terminale. E l'équipe sanitaria, dopo diversi confronti, ha scelto di assecondare la sua decisione. Il drammatico episodio è emerso venerdì sera, verso la fine di un convegno sul testamento biologico organizzato a Treviso dall'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori. «Antonio è entrato e uscito più volte dalla nostra casa, ma l'ultima volta è tornato giù, moralmente a pezzi e più che mai chiuso in se stesso - ha raccontato la presidente dell'Advar, Anna Mancini - a un certo punto ha detto di non voler più né mangiare né bere e si è steso a letto, dove è rimasto immobile ad aspettare la morte». Che nel giro di pochi giorni, inevitabilmente, è arrivata.



«Dopo una serie di confronti la nostra equipe (composta da 5 medici, 5 infermieri, 3 coordinatrici e 1 psicologa, ndr) ha deciso di rispettare la sua volontà - ha continuato la Mancini - non so se a quel punto era in grado di intendere e di volere, so solo che è andato avanti un bel pò e che alla fine si è vista la morte che nasceva dalla vita». Una decisione tanto drastica quanto intima che, però, proprio mentre ancora dorme in Parlamento la legge sul fine vita, non può non scatenare dubbi e discussioni. Tanto che la stessa fondatrice dell'Advar prova subito a mettere le mani avanti. «Lui era destinato a morire e noi non abbiamo accelerato alcun percorso - ha corretto il tiro il giorno dopo - non vorrei essere fraintesa: Antonio era lucido e noi ci siamo limitati a rispettare le sue volontà negli ultimi giorni di vita. Anzi, è un esempio che mette in luce tutta l'importanza di arrivare a un consenso che sia davvero informato».



Fatto sta che il caso ne fa subito tornare alla mente un altro che solo qualche mese fa aveva già acceso a Treviso la discussione attorno all'eutanasia. Al centro c'era un 48enne, anche lui della Marca, che si era visto riconosciuto dal tribunale il diritto ad agire come «amministratore di sostegno» della moglie colpita dalla sclerosi multipla. Una sentenza assolutamente rara che, di fatto, gli dava la possibilità di far valere il testamento biologico scritto dalla sua compagna pochi anni prima nel caso in cui questa con il progredire della malattia avesse perso conoscenza. «Non voglio che la mia vita venga prolungata - aveva messo nero su bianco - se i medici sono ragionevolmente certi che le mie condizioni di vita siano senza speranza». La stessa speranza che Antonio, pur senza supporto ventilatorio e sondino per l'alimentazione (Peg), non ha più visto.
Ultimo aggiornamento: 5 Marzo, 10:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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