Lanza: «Quegli sputi l'ultima amarezza per Veneto Banca»

Domenica 22 Aprile 2018 di Angela Pederiva
Lanza: «Quegli sputi l'ultima amarezza per Veneto Banca»
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Massimo Lanza, si aspettava la contestazione di Treviso?
«Sì, ma francamente non in quei termini. A suo tempo avevo girato molto nelle regioni dove eravamo presenti e spesso mi era capitato che gli azionisti se la prendessero con me. Ma ci stava, perché io rappresentavo la banca. E comunque non si era mai arrivati all'aggressione. Per questo, scherzando con i miei collaboratori, avevo detto: fuori dal Palazzo di Giustizia mi lanceranno i pomodori... Invece mi sono preso addirittura insulti e sputi».
Il giorno dopo, l'ultimo presidente di Veneto Banca rilegge l'sms inviato giovedì sera a don Enrico Torta, leader spirituale del coordinamento dei soci della ex Popolare: «Sarebbe bello se i principi evangelici della non violenza ispirassero anche le manifestazioni che nascono da un giustificato malessere».
 



Le ha risposto?
«No. Ma non importa, gli ho scritto quelle parole con il cuore, perché credo nel rispetto. Purtroppo si è creata la sgradevole equazione per cui chi è contro l'insolvenza è complice di chi ha causato il tracollo. Invece non è così. Come ho detto anche al giudice Antonello Fabbro, alla cui libera determinazione ovviamente mi rimetto, se avessi avuto anche solo il sentore del rischio di insolvenza, sarei stato io stesso a convocare il consiglio di amministrazione e a dichiarare quella condizione».
Avrebbe potuto mandare solo gli avvocati: perché ha voluto metterci (anche fisicamente, visto com'è andata) la faccia?
«Per tre motivi. Il primo è che ho grande rispetto per le istituzioni, dunque anche per il Tribunale e per la decisione che prenderà, qualunque essa sia: sono stato convocato e mi è sembrato doveroso esserci. Il secondo è che tenevo a far capire, al di là dei tecnicismi legati alla questione dell'insolvenza, che noi tutti componenti indipendenti del Cda avevamo preso quell'incarico come dovere civico. Il terzo è che io, pur non essendo veneto, mi sento molto legato al Veneto: per dodici anni ho lavorato alla Fondazione di Venezia, città in cui ho vissuto per oltre un decennio e dove ho ancora molti amici». 
Ora è più arrabbiato o più amareggiato?
«Più amareggiato. A parte il fatto che la violenza è sempre sgradevole, la mia amarezza nasce dal fatto che noi ex amministratori siamo sinceramente convinti di avere lavorato molto, non solo per cercare di rilanciare la banca, ma anche per dimostrare attenzione ad azionisti e clienti. Dopo aver toccato con mano il disastro che si era abbattuto su tante persone, avevamo promosso l'azione di responsabilità, avevamo chiesto e ottenuto dall'azionista 300 milioni per lanciare l'Offerta pubblica di transazione, avevamo lanciato il fondo per i disagiati che poi è stato sospeso dai liquidatori ma che è stato ripreso da IntesaSanPaolo. Se c'è qualcuno che ha fatto qualcosa per i risparmiatori, siamo stati noi». 
Avrebbe voluto dirlo ai suoi contestatori?
«A me fa sempre molto piacere parlare con le persone, l'ho fatto in quei sette mesi e ho provato a farlo con qualcuno anche l'altra mattina, al termine dell'udienza. Ma ho capito che non era proprio giornata. Comunque comprendo molto bene l'arrabbiatura delle persone, perché hanno sentito venir meno la fiducia da parte della loro banca, come se fossero state tradite dalla persona più cara che avevano in famiglia».
Cosa teme dall'eventuale dichiarazione di insolvenza?
«Lo dico con estrema sincerità, anche a costo di sembrare presuntuoso: nessuno di noi del Consiglio ha paura di ripercussioni patrimoniali, perché siamo convinti di aver operato bene. Però credo che a tutti scoccerebbe il danno reputazionale derivante dall'essere stati amministratori di una banca insolvente e quindi fallita. Onestamente mi dispiacerebbe proprio chiudere così una carriera cominciata nel 1972».
Lo stesso anno del suo matrimonio: è vero che è stato rimproverato da sua moglie per aver accettato la presidenza di Veneto Banca?
«Lasciamo perdere, stiamo insieme dal liceo... (ride, 
ndr.). Diciamo però che tutti, dai parenti agli amici, mi avevano detto: non farlo. Invece l'ho fatto e lo rifarei. La giornata degli sputi è stata molto sgradevole, così come il giorno in cui ho consegnato le chiavi della banca ai commissari era stato molto difficile. Però è stata un'esperienza incredibile, che mi ha insegnato tanto soprattutto sul piano dei rapporti umani, sia dentro che fuori dall'istituto».
Cosa si rimprovera?
«Tante piccole cose. Se il nostro piano non è stato ritenuto credibile dalla Bce, evidentemente qualche mancanza da parte nostra dev'esserci stata». 
C'è chi dice che l'Europa avesse già deciso tutto: anche lei?
«Non lo so e non intendo polemizzare. Dico solo che il processo con cui la Dg Comp doveva giudicare gli aiuti di Stato mi ha molto stupito e deluso, perché ho avuto l'impressione che fosse una discussione non molto obiettiva. Faccio due esempi. La commissione non accettava di tener conto ai fini patrimoniali del valore delle partecipazioni che intendevamo vendere, se non a fronte di lettere scritte di impegno formale. E sulla svalutazione degli Npl, nonostante la Banca d'Italia avesse ammesso un paziente lavoro di recupero, la pretesa europea era che trovassimo una soluzione molto più brutale e rapida».
Sarebbe stato meglio trovare prima i capitali...
«Lo so bene. Nessuno aveva mai sottoposto la banca alla Tac che effettuammo noi in tre mesi. Quando scoprimmo le sue vere condizioni, i potenziali investitori si allontanarono, quindi dovemmo percorrere la strada della capitalizzazione precauzionale, che per inciso non viene certo autorizzata agli istituti insolventi. Avevamo a cuore il tema della continuità aziendale e preparammo un piano che ritenevamo buono. Il problema è che nessuno si mosse per mettere capitale nuovo e quindi si arrivò alla famosa dichiarazione della Bce che portò alla liquidazione. In quel fatidico venerdì 23 giugno convocai il Cda: fummo noi per primi a scrivere a Danièle Nouy che la continuità aziendale veniva meno».
Cosa fa adesso?
«In campo filantropico coordino un progetto di social housing nel quartiere di Pioltello a Milano. In campo bancario sto accompagnando l'integrazione delle banche estere di Moldavia e Albania in IntesaSanPaolo».
Alla fine come valuta l'ingresso di Ca' de Sass?
«Con rimpianto e gratitudine. Sarebbe stato bello se fosse rimasta una banca del territorio. Ma il conto da pagare sarebbe stato molto più salato senza l'ingresso di Intesa San Paolo». 
Quanto ha guadagnato da Veneto Banca?
«È scritto nel bilancio: 107.000 euro netti. Una cifra importante, ma equilibrata per le responsabilità: tuttora mi arrivano ingiunzioni e cartelle come legale rappresentante... Comunque credo di essere stato il presidente meno pagato nella storia di Montebelluna».
 

Ultimo aggiornamento: 23 Aprile, 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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