Il disastro aereo dell'Antonov: 22 anni, zero risarcimenti

Martedì 12 Dicembre 2017 di Luca Bertevello
Il disastro aereo dell'Antonov: 22 anni, zero risarcimenti
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«Lo Stato non vi lascerà mai soli». Era la mattina del 14 dicembre 1995. Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro pronunciò questa frase davanti ai familiari delle vittime del disastro aereo di Verona. Un disastro annunciato e proprio per questo ampiamente evitabile. Ma 22 anni dopo, di quelle parole è rimasto solo l'intento. Lo Stato ha abbandonato tutti. Anzi, è la parte in causa che oppone più resistenza al pagamento dei risarcimenti. Fra le vittime c'era anche un'imprenditrice vittoriese, Edith Della Libera. 35 anni, due figli minorenni, tre siti manifatturieri da gestire fra la Marca, l'ex Jugoslavia e la Romania. Edith prese l'aereo Antonov della compagnia Banat-Air 166 da Verona a Timisoara la sera del 13 dicembre. Il suo viaggio durò meno di un minuto. Il tempo di decollare sotto una fitta nevicata, di raggiungere i 150 metri di altezza e di precipitare nei 12 secondi intercorsi fra il problema tecnico che ha causato lo schianto e l'impatto fatale con il suolo a Pojane di Villafranca. 

Oggi, sulla base delle sentenze di primo e secondo grado, ai familiari della donna spetterebbero quasi 2 milioni di euro fra danni patrimoniali, non patrimoniali, biologici e successive rivalutazioni. Hanno visto solo spiccioli. Gli ultimi li ha versati il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel 2013: 14.262,31 euro al marito Renato Piccoli, 37.973,68 euro ciascuno ai figli Erik e Alex. Nulla alla sorella Ester, nulla ai genitori Pietro e Assunta.

STORIA INFINITA
Causa penale e civile presero ovviamente strade diverse. Ma anche quella civile venne celebrata davanti ai giudici del tribunale di Verona, sede giudiziaria in seguito modificata visto che le responsabilità dei funzionari del Catullo, chiara fin dai primi accertamenti, finirono per coinvolgere il ministero dei Trasporti. La conseguenza, dato che a  quel punto si configurava un danno erariale, fu il trasferimento di tutti gli atti processuali a Venezia. Ma ci vollero 11 anni prima che Verona si dichiarasse incompetente, col rischio che il procedimento dovesse ripartire da zero. Non fu così, nonostante le pressioni degli altri attori coinvolti: la Banat-Air, la Compagnia Romavia e la Giubi Tour, a vario titolo corresponsabili del disastro assieme all'Aeroporto Catullo Spa.
In mezzo, anni di battaglie legali, perizie tecniche, perizie di parte e raccolta di testimonianze, con ripetuti tentativi di minare o quantomeno procrastinare il pagamento delle spettanze. Il risultato fu un tourbillon di carte e faldoni che nel 2006, quando il processo fu trasferito a Venezia, riempirono un intero barcone.

LE CONDANNE
Per arrivare alla sentenza di primo grado fu così necessario attendere il 21 ottobre del 2010. Il dispositivo sembrava rispondere in toto alle aspettative dei familiari di Edith, rappresentati dallo studio legale dell'avvocato Nicola Chiesura e dei figli Marco, Francesco e Alessio, di Conegliano. Condanne su tutta la linea: Banat-Air, Romavia, Giubi Tour, Catullo e ministero devono rifondere in solido tutti i danni. La terminologia in solido è la pietra angolare della sentenza. Significa che il giudice ordina a una pluralità di soggetti, in questo caso cinque, di rifondere i familiari della vittima. Ma il creditore può rivolgersi indifferentemente all'uno o all'altro per chiedere il rimborso integrale dei danni. Chi versa l'intera cifra ha poi diritto di regresso nei confronti degli altri debitori. Lo studio Chiesura si è dunque rivolto al ministero, scegliendo così l'unico interlocutore in grado di ottemperare al pagamento in tempi ragionevoli. Sì, perché nel frattempo la Banat-Air è stata radiata dal registro delle imprese mentre Romavia e Giubi Tour sono andate in fallimento o in liquidazione.

NULLA È COSÌ SEMPLICE
Ognuna delle parti portate in giudizio per il disastro è stata ritenuta responsabile per il 20 per cento. Ed è qui che il ministero oppone resistenza, nonostante l'inequivocabile dispositivo del tribunale veneziano. Lo Stato è pronto a pagare la sua quota solo alla fine delle controversie legali, ma non intende farsi carico del restante 80 per cento. E alla fine manca ancora parecchio.
Il 19 dicembre 2016 la Corte d'Appello di Venezia ha infatti cambiato di nuovo le carte in tavola. Non nella forma, il pagamento in solido è stato confermato, ma nella sostanza. I giudici hanno infatti scagionato la Giubi Tour che pure ha svolto il fondamentale ruolo di intermediario di viaggio. Come se non bastasse ha obbligato i familiari delle vittime a rifondere le spese di lite sostenute sia dall'agenzia che dalla sua compagnia assicuratrice, la Aga International, invece di compensarle. In più ha ridotto sensibilmente il danno non patrimoniale iure hereditatis, ovvero la sofferenza patita da Edith, giovane donna con due figli minorenni, quando si è resa conto che non avrebbe avuto scampo. Secondo i giudici 12 secondi di consapevolezza non bastano a legittimare una richiesta di 200mila euro (che poi il primo grado aveva quantificato in 50mila). Troppo poco terrore. Tanto più che la sua morte, come quella degli altri 40 passeggeri e di tutti i membri dell'equipaggio, è stata istantanea. Quindi i giudici hanno liquidato lo iure hereditatis con 20mila euro. E non se ne parli più.

EPILOGO
Togliere la Giubi Tour dal mazzo 21 anni dopo e in uno scenario così complesso, significa dover ricollocare le attribuzioni di responsabilità e spalancare la porta a nuovi ricorsi che allungheranno tempi già biblici. La storia ha dimostrato che le società in causa, a eccezione della sola Catullo Spa che liquidò acconti di qualche decina di migliaia di euro già nel 2003, sanno ben destreggiarsi all'interno del formidabile mondo di leggi e cavilli che regolamentano questi procedimenti. Lo fanno a volte contestando aspramente le prove: incerte e comunque acquisite davanti a un giudice incompetente. Altre appellandosi alle disperate condizioni economiche in cui versano. Spesso con successo, nonostante siano proteste di tornaconto contabile. Un ostruzionismo che ha convinto molti familiari ad accontentarsi di transazioni inaccettabili pur di chiudere per sempre la partita e una vicenda umana e giudiziaria troppo lunga e troppo dolorosa. «Le racconto un aneddoto -dice Francesco Chiesura davanti al tavolo dello studio, sommerso dagli atti giudiziari di questo processo- Il giorno del disastro mi ero appena iscritto a Giurisprudenza a Bologna. Oggi sono cassazionista». È passata una vita. Anche per gli eredi di Edith.
Ultimo aggiornamento: 09:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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