Addio al celibato finisce in tragedia: cosa ha scatenato la follia

Lunedì 1 Ottobre 2018 di Alberto Beltrame
Igor Ojovanu
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TREVISO - Doveva essere una giornata di festa. E così era stato fino a metà serata quando un gruppo di giovani moldavi, residenti nella Marca da diversi anni, è tornato a Fontane di Villorba, nel Trevigiano, per prendere dei vestiti puliti a casa del futuro sposo. Era la sua festa di addio al celibato e i suoi amici, una quindicina di ventenni in tutto, gli avevano fatto una bella sorpresa: grigliata sul Piave e poi serata in centro, a divertirsi. Un programma andato in fumo verso le 22.15, quando una parte del gruppo è stato preso di mira dai vicini di casa dello sposo, che abita in via Largo Molino. «Smettetela di gridare, fate troppo rumore, questo è il nostro quartiere, andate via», si sono sentiti urlare contro i ragazzi da due trentenni, un romeno e un albanese, dal balcone di un appartamento al primo piano. Poi la discussione è degenerata.
 

 


I due trentenni sono scesi armati di due coltellacci da cucina e hanno assalito cinque giovani del gruppo. Igor Ojovanu, elettricista ventenne residente a Treviso, è stato raggiunto da un fendente alla schiena. È riuscito a fare solo alcuni passi prima di accasciarsi sul marciapiede. È morto davanti agli occhi dello sposo Ion Bagrin, 24 anni, accoltellato all'addome e tuttora in prognosi riservata (ma fortunatamente già fuori pericolo), del fratello Stefan Bagrin, 20 anni, raggiunto da 5 colpi tra collo, braccio e polso,  e di altri due giovani moldavi, Valentin Olaru, 19 anni, e Stefano Lungu, 18 anni appena, quest'ultimo tuttora in gravissime condizioni e sottoposto in serata a un delicatissimo intervento chirurgico al diaframma, lacerato dalla lama. 

LA FUGA
Stando ai racconti forniti dai ragazzi e dagli stessi residenti del residence Molinella, il complesso di palazzine che circonda il parcheggio in cui è avvenuta la mattanza, i due trentenni, ospiti da qualche tempo di una ragazza rumena, hanno dato la caccia alle loro prede inseguendole in lungo e in largo. Prova ne sono le chiazze di sangue trovate a terra lungo marciapiedi e sottoscale ai diversi angoli della piazza, dove i 5 giovani sono stati inseguiti, raggiunti e accoltellati. Prima dell'arrivo dei carabinieri e del 118 che ha soccorso i quattro feriti (mentre per il 20enne non c'era più alcuna speranza), i due aggressori sono saliti a bordo di una Fiat Punto portando al seguito anche la ragazza rumena e hanno fatto perdere le loro tracce. Poi però hanno fatto marcia indietro e sono tornati in ospedale, al Ca' Foncello di Treviso, per farsi medicare. Sono saliti sulla rampa del pronto soccorso e hanno detto ai medici: «Siamo feriti, siamo stati aggrediti, aiutateci».

LE MANETTE
I carabinieri della compagnia di Treviso, guidati dal maggiore Stefano Mazzanti, hanno lavorato tutta la notte per ricostruire con precisione quanto accaduto. Hanno raccolto testimonianze dirette, sentito alcune delle vittime dell'agguato e i loro amici, si sono confrontati con i medici che per primi hanno soccorsi i giovani moldavi e i presunti aggressori, subito piantonati in pronto soccorso. Nell'appartamento in cui erano ospitati i due trentenni hanno subito trovato le armi del delitto: due coltelli da cucina sui quali verranno nelle prossime ore effettuati dei rilievi scientifici. In mattinata il trentenne romeno è stato ammanettato mentre era in ospedale e accompagnato in caserma assieme alla ragazza, sentita come testimone dei fatti. Il coetaneo albanese, invece, è rimasto in reparto, ricoverato per alcuni traumi (ma nessuna ferita d'arma da taglio). «Se li è fatti da solo - hanno assicurato gli amici del ventenne ucciso - ha usato questa tecnica anche in passato». Mentre le lancette dell'orologio continuavano a correre i militari dell'Arma hanno chiesto alla magistratura, sulla scorta degli indizi raccolti, di procedere con il fermo dei due sospettati. Il provvedimento è stato eseguito in tarda serata: entrambi sono accusati di omicidio in concorso e tentato omicidio plurimo in concorso. 

LA VITTIMA
Ieri gli amici di Igor Ojovani, molti dei quali testimoni del massacro, hanno passato la giornata tra l'ospedale, dove hanno chiesto costantemente aggiornamenti sui ragazzi feriti, e l'obitorio, dove si sono stretti attorno ai genitori del ventenne e a suo fratello maggiore accendendo una sigaretta dietro l'altra, quasi a tentare di soffocare il dolore con il fumo. «Avevamo passato una giornata bellissima, tutti assieme, per festeggiare Ion - racconta Michele -.
L'avevamo vestito come un pagliaccio ed eravamo tornati a casa perché potesse cambiarsi. Poi siamo stati insultati da quei due, gente che conosciamo di vista, ma che non ci ha mai dato problemi. Non abbiamo mai risposto alle loro provocazioni. Non ci aspettavamo scendessero armati, erano fuori controllo, forse sotto l'effetto di qualche sostanza. Dicono che li abbiamo picchiati? Sono solo bugie, quello che hanno fatto lo hanno visto tutti». A confermare la versione degli amici del ventenne c'è anche la testimonianza di molti residenti del quartiere oltre alla prima ricostruzione delle stesso forze dell'ordine: i ragazzi moldavi, di sicuro, non erano armati. «Stavamo festeggiando - continuano i giovani, in lacrime, fuori dall'obitorio - e di certo non cercavamo guai. Igor poi ... era un ragazzo tranquillissimo, sempre felice, sempre positivo. Lavorava come elettricista e, la sera, studiava all'istituto tecnico Giorgi. Voleva ottenere il diploma, magari avviare in futuro un'attività in proprio. Nessuno di noi si aspettava finisse così: volevamo solo divertirci tutti assieme, festeggiare Giovanni (italianizzazione di Ion), nulla di più».

Ultimo aggiornamento: 10:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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