Crisi, Bergamin non molla ma anche la Lega volta le spalle al sindaco

Mercoledì 20 Febbraio 2019
Massimo Bergamin
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ROVIGO Massimo Bergamin rimane aggrappato alla sua poltrona, ma la Lega e il resto della maggioranza gli voltano le spalle e gli chiedono un passo indietro. Il sindaco persiste nel voler nominare una mini-Giunta di appena quattro componenti (anche se venerdì aveva detto il contrario), che probabilmente presenterà oggi, ma ieri ha incassato il sostegno esclusivamente dei leghisti Michele Aretusini, ormai ai ferri corti con il suo gruppo consiliare, e Riccardo Ruggero. Da tutti gli altri partiti e gruppi è arrivato un secco no alla fiducia, qualora prima non avesse ricevuto quella del suo partito, cosa non avvenuta.
 
IL TENTATIVO Ieri mattina è sceso da Treviso il commissario regionale del Carroccio Gianantonio Da Re, seguito dal responsabile nazionale per la gestione degli enti locali Stefano Locatelli, uomo di fiducia del segretario federale Matteo Salvini. Il ritrovo è stato nell'ufficio del sindaco, ricevendo in riunione Vani Patrese (capogruppo FI), Silvano Mella (Presenza cristiana), Renato Borgato (Forza Italia) e Paolo Avezzù (Obiettivo Rovigo). Chi ha partecipato ha raccontato di un incontro dai toni molto accesi, durante il quale gli azzurri e i centristi cattolici hanno spiegato al sindaco che avrebbero atteso la conferma scritta da parte della Lega per il sostegno al sindaco fino al termine del mandato. Solo Borgato e Avezzù hanno continuato a mediare, cercando di ricucire uno strappo tra primo cittadino e consiglio comunale che appare ormai irrimediabile.
«Avezzù non può comportarsi così, vuole rimanere su a tutti i costi quando è stato lui a fare tutto firmando quel comunicato in cui Obiettivo Rovigo dichiarava di essere uscito dalla maggioranza», ha tuonato Patrese.

Anche Mella è uscito dall'ufficio del sindaco scuro in volto: «Il sostegno al sindaco deve ripartire dal suo gruppo, poi noi di Forza Italia e Presenza cristiana ci aggiungeremo. Senza le loro firme, non possiamo aderire. L'eventuale nomina di Antonio Saccardin non si discute, noi manterremmo il settore Lavori pubblici già sacrificando quello del Patrimonio. Così abbiamo già fatto il nostro sacrificio, Saccardin non ha alcun demerito per lasciare il settore a qualcun altro per raccogliere i frutti seminati in questi quattro anni». LA BASE È STUFA Da Re aveva assicurato ai quattro della prima riunione che sarebbe riuscito a convincere gli otto consiglieri del suo partito a firmare quello stringato documento a supporto del sindaco, nel quale si parla di sostegno incondizionato fino al termine del mandato nel 2020. Da Re non aveva fatto i conti con la base leghista, che la sera precedente si è incontrata in partito per essere aggiornata sulla situazione e ha domandato in coro che Bergamin fosse mandato a casa. In questo modo, quando alle 16.35 i consiglieri leghisti sono entrati nell'ufficio di Bergamin, è iniziata un'accesa discussione, durate la quale hanno portato all'attenzione di Da Re e Locatelli quanto grave sia ormai la situazione: non sono più solo loro a chiedere la testa del sindaco, ma la base del partito. Dopo circa un'ora e mezza i consiglieri sono usciti come un fiume in piena dalla stanza di Bergamin, mostrandosi furiosi per quanto accaduto: Aretusini, apostrofato dai compagni di partito come traditore, e Ruggero, per il quale il giudizio è stato diverso e migliore, hanno firmato quel documento. LO STRAPPO «Noi lo appoggiamo fino alla fine, siamo di maggioranza e come tale ci comportiamo, ma non esiste nè cielo né in terra che firmiamo un documento dove ci dice di sostenerlo in maniera incondizionata dopo questi tre anni», è il commento di Giancarlo Andriotto. Intorno alle 18 Da Re e Locatelli se ne sono andati senza dichiarare alcunché, Bergamin è poi rimasto da solo nel suo ufficio, probabilmente intento a contare e ricontare le uniche due firme su 17 che gli avevano chiesto i partiti per poter proseguire. Alberto Lucchin

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