Matteo, l'ex triatleta che molla tutto e vola da Adria all'Australia

Domenica 8 Aprile 2018 di Nicola Astolfi
Matteo Bruschi
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ADRIA - Cambiare aria, ritmi di vita e trovare stimoli nuovi: lasciare l'Italia, a volte, significa mettersi alle spalle un periodo difficile e chi si lamenta che niente cambia ma anche non fa alcunché per cambiare.

Matteo Bruschi una situazione simile l'ha affrontata. E ha scelto di mettere a frutto le sue qualità aprendo la propria mentalità al mondo. Così, dopo sei anni passati in Australia, oggi vorrebbe che «Tutti i ragazzi italiani avessero il coraggio di partire con mille euro in tasca e tanta voglia di costruirsi da soli. Sono certo - spiega Bruschi - che queste persone possano rendere l'Italia un paese migliore». È una certezza che Bruschi si è costruito sulla pelle e consigliando, per lavoro, come far quadrare il bilancio familiare in funzione degli obiettivi di vita: comprare casa, ad esempio, accantonare una somma per gli studi, mettere insieme le risorse per una rendita complementare negli anni della pensione, oppure difendere i propri risparmi dal costo della vita e dalla volatilità dei mercati finanziari.

Lasciata Adria nel 2012, ora Bruschi lavora nel settore del financial planning e vive a Melbourne. Fino a quando è rimasto in Polesine aveva fatto l'insegnante di Educazione motoria, e di ciò che faceva in Italia non tutto è stato dimenticato. Era stato un triatleta dell'Assindustria Rovigo, premiato come giovane emergente dal Panathlon club di Adria con il Leone di bronzo, e si era poi realizzato come nazionale azzurro di duathlon e triathlon. Dopo un viaggio di oltre 16 mila chilometri che gli ha cambiato la vita, ha mantenuto intatta la passione per lo sport.

Di che cosa si occupa in Australia e da quanto tempo ha lasciato il Polesine?
«Sono arrivato in Australia nel 2012, e dal 2015 lavoro nel settore del financial planning».

Perché ha deciso di lasciare l'Italia?
«Per diversi motivi. Prima di tutto, avevo appena concluso la mia carriera sportiva: dopo questo grosso cambiamento avevo voglia di rimettermi in gioco e ritrovare fiducia in me stesso. Confesso che ero anche molto stanco dell'aria che tirava in Italia: tutti si lamentano sempre che le cose vanno male, ma poi non fanno alcunché per cambiare la situazione. Inoltre stavo passando un periodo difficile con amici e famiglia: avevo bisogno di cambiare aria, e soprattutto di capire come gira il mondo fuori dall'Italia. Avevo lavorato nella zona di Rovigo come insegnante di Educazione fisica nelle scuole elementari e medie».

Che progetti aveva quando è partito?
«Se devo essere sincero, quando sono partito non avevo alcun tipo di ambizione se non quella di passare un anno all'estero per imparare l'inglese e fare un'esperienza di vita».

Che visione aveva dell'Australia?
«Avevo l'immagine di un'Australia da documentario tv e delle olimpiadi di Sydney del 2000. Immaginavo spiagge bianche, la barriera corallina, i surfisti e l'Opera house, ma non avevo idea di come funzionasse la vita nel Down Under (termine inglese per indicare l'Australia, ndr). Arrivato a Sydney non ho avuto una bella impressione. Anzi, ho passato i primi giorni in ostello e il cambiamento da una città piccola come Adria a una città così caotica, è stato traumatico».

Stabilirsi in Australia è stata la tappa di un percorso o era la meta che aveva stabilito?
«È stata una conseguenza arrivata senza alcuna pianificazione. Ero arrivato in novembre e ho passato i primi sei mesi a capire come giravano le cose qui, e a creare dei buoni contatti e delle amicizie, che rimarranno per sempre. Solo dopo ho capito di voler rimanere. Così, mi sono rivolto a un avvocato specializzato in immigrazione».

C'è anche in Australia la mentalità del se conosci qualcuno, probabilmente un posto lo trovi?
«Tutto il mondo è paese. Le cose funzionano alla stessa maniera sia in Italia che all'estero. Trovare un lavoro qui non è assolutamente facile, per il semplice motivo che un lavoro a tempo indeterminato richiede un grande impegno da parte del datore di lavoro che si dovrà dedicare per almeno quattro anni alla sponsorizzazione».

I visti di sponsorizzazione, infatti, impongono al datore di lavoro di sponsorizzare il lavoratore in modo che, attraverso un visto permanente, possa lavorare nella sua azienda.
Che cosa pensa le sia servito di più per affermarsi? «La perseveranza: quando ero in Italia non sapevo quanto paghi perseverare giorno dopo giorno, mesi e anni senza farsi scoraggiare dai fallimenti. Solo la voglia di mettersi in gioco tutti i giorni porta dei veri risultati».

Il lavoro ti lascia spazio anche per altre attività?
«Certo. Il lavoro mi dà molta flessibilità. L'opportunità di combinare lo sport con gli impegni quotidiani, per me fa la differenza. Per capirci: mi alleno tutti i giorni in bici alle 5 di mattina e in pausa pranzo. Ho la fortuna di condividere la stessa passione con il mio manager e il mio datore di lavoro. Quindi riusciamo a ritagliarci dei momenti anche per allenarci».

Che accoglienza ha avuto e quanto tempo le è servito per sentirsi integrato?
«Sentirmi integrato a tutti gli effetti è una cosa che ho avvertito quando ho preso in affitto un appartamento tutto per me, senza dover dipendere da nessuno. L'opportunità di essere una persona normale che paga le tasse e insegue i propri obiettivi, è il modo migliore per sentirsi integrati».

Cosa vorrebbe vedere in Italia di quanto ha trovato in Australia?
«Sicurezza. Multiculturalismo e integrazione. Persone con elevata sensibilità alla pratica sportiva. E persone orgogliose del proprio paese e del posto in cui vivono».

Viceversa, cosa vorrebbe avere del Polesine dove si trova ora?
«Vorrei vedere un po' più d'amore verso l'architettura e per lo stile degli edifici. In Italia c'è omogeneità e stile architettonico, mentre qui ognuno ha piena libertà di fare quello che vuole: se pensi che l'Australia è uno dei paesi con la più alta percentuale di immigrati. Beh, immagini il risultato».

Sente di aver realizzato completamente le sue ambizioni? 
«Ci sto lavorando e sto sicuramente vedendo i risultati del lavoro quotidiano. Ma ho ancora molta strada da percorrere per raggiungere tutti i miei obiettivi. Oltretutto li cambio, li modifico e li ripianifico tutte le settimane. Ho sempre avuto grandi ambizioni e sto lavorando giorno dopo giorno per riuscire a realizzarmi».

Se un giorno tornasse in Italia, che esperienza vorrebbe poter mettere a servizio della sua città di origine? «L'esperienza come consulente finanziario è sicuramente un bagaglio che vorrei mettere a disposizione di tutti i giovani, per far capire come funziona il mondo e avere le basi per costruirsi un futuro. Mi piacerebbe condividere la mia esperienza nelle scuole per spingere i giovani a fare esperienze all'estero. Penso che sia un bagaglio culturale che ti cambia la vita e ti apre la visione del mondo. Vorrei che tutti i ragazzi italiani avessero la disposizione e il coraggio di partire con 1.000 euro in tasca, e con tanta voglia di costruirsi da soli. Sono certo che gente così renderebbe l'Italia un paese migliore».
Ultimo aggiornamento: 9 Aprile, 11:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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