Il tesoro "scomparso" di Maniero, inchiesta chiusa: verso il processo

Martedì 29 Agosto 2017 di Roberta Brunetti
Felice Maniero
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L'inchiesta sul tesoro nascosto di Felice Maniero è stata chiusa. E si avvicina il processo per l'ex cognato, la sorella e il consulente finanziario del boss pentito della Mala del Brenta, accusati di aver riciclato, dal 1994 in poi, qualcosa come 33 miliardi di vecchie lire. Il bottino di anni di attività malavitose della banda, tra rapine, traffico di droga, bische clandestine, di cui Maniero, dopo il pentimento del 1994, appunto, non aveva mai parlato, fino all'anno scorso, quando ne svelò l'esistenza per denunciare l'ex cognato che, a suo dire, avrebbe tradito i patti non passandogli più i soldi.

Ora i pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, Paola Tonini e Giovanni Zorzi, hanno firmato il 415 bis, l'atto che precede la richiesta di rinvio a giudizio, a carico dell'ex cognato, Riccardo Di Cicco, 60 anni, titolare di uno studio dentistico a Fucecchio, nei pressi di Firenze, del broker Stefano Brotini, 49 anni, di Santa Croce sull'Arno - entrambi arrestati per queste accuse e ancora in carcere - nonché di Noretta Maniero, sorella del boss pentito ed ex moglie di Di Cicco. Stralciata, invece, la posizione della madre di Felicetto, Lucia Carrain, da sempre considerata la cassiera della banda e su cui le indagini continuano.

La vicenda era diventata di dominio pubblico a gennaio, quando erano scattati gli arresti di Di Cicco e Brotini, in esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip lagunare Alberto Scaramuzza. E quando erano scattati anche i sequestri preventivi, per oltre 17 milioni di euro, tra ville in Toscana, depositi bancari, strumenti  finanziari, auto di lusso... La fine di un giallo durato oltre vent'anni, durante i quali non si era mai capito dove fossero finiti i soldi accumulati dalla banda in tanti anni di attività criminale di stampo mafioso. Un tesoro che avrebbe consentito a Faccia d'angelo di continuare a vivere nell'agiatezza, tanto da rifiutare i benefici economici previsti dalla legge sui pentiti. A un certo punto, però, il meccanismo si deve essere inceppato e alla fine è stato lo stesso Maniero, per vendetta, a raccontare del ruolo che avrebbe avuto l'ex cognato nella gestione di quei 33 milioni di vecchie lire.

Dopo essere stati arrestati, Di Cicco e Brotini hanno respinto le accuse. L'ex cognato, in particolare, ha sostenuto di essersi limitato a spostare da un conto in Svizzera all'altro i capitali avuti da Maniero, mentre i beni sequestrati li avrebbe acquistati con i proventi della sua attività professionale di dentista. Ma il Tribunale del riesame prima e la Cassazione poi, non hanno creduto a questa versione e hanno confermato le misure cautelari in carcere, ritenendo che i due, una volta scarcerati, potrebbero continuare l'«attività di confondimento dell'origine illecita» del denaro. A questo punto è facile immaginare che accusa e difesa si confronteranno davanti al Tribunale.
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