VENEZIA - Sul caso dei quattro manager della sanità veneta con stipendio più pensione, lo scorso 29 giugno la Regione aveva annunciato la richiesta di «un parere istituzionale», così da dirimere i dubbi di legittimità sul cumulo dei due emolumenti.
L'orientamento
A chiedere un orientamento era stato Luciano Flor, numero uno regionale della Sanità, al ministero della Pubblica amministrazione. Il parere è stato emesso dal capo dell'ufficio legislativo, secondo cui è comunque «necessario ed urgente un intervento legislativo che vada definitivamente a chiarire la disciplina applicabile al caso di specie, al principale scopo di evitare l'insorgenza di ulteriori incertezze interpretative, sia da parte delle amministrazioni, che degli organi giurisdizionali, tenuto conto del preminente interesse alla salute che l'ordinamento e in particolare le Regioni perseguono attraverso le proprie aziende sanitarie». Ma se serve una legge per dipanare definitivamente le ombre, il nodo dei dg veneti è stato sciolto o no? Per la Regione, sì. «È stata fatta chiarezza come avevamo chiesto, per la quale ringrazio il ministro e il dipartimento della Funzione pubblica per il lavoro svolto», afferma il presidente Luca Zaia. Gli fanno eco i tecnici dell'area Sanità: «L'autorevole parere conferma la piena legittimità dell'operato della Regione, ponendo fine ad ogni possibile equivoco e confermando l'auspicio che il nuovo Parlamento dirima in modo definitivo ogni possibile fraintendimento».
Il bilanciamento
Dopo aver letto il documento arrivato da Roma, l'avvocato Miazzi afferma che il contenuto «rispecchia il parere pro veritate» reso nelle scorse settimane dalla stessa professionista e dal professor Carlo Cester per conto delle aziende. «Il parere del ministero - sottolinea - dice che la normativa generale sul divieto di conferimento degli incarichi al personale in quiescenza, quindi sul divieto di cumulo dei trattamenti, non si applica ai direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere. Questi sono destinatari di una disciplina speciale derogatoria approvata nel 2016, che prevede l'iscrizione a un elenco nazionale e che è stata modificata nel 2022, quando è stato stabilito che i dg possono restare in carica fino a 77 anni. La normativa generale ha operato un bilanciamento fra la necessità di svecchiare l'amministrazione e l'esigenza di non discriminare per ragioni d'età, decidendo che è preferibile dare lavoro ai giovani. Invece per i direttori generali della sanità il legislatore ha ritenuto evidentemente prevalente il valore della professionalità che non deve andare perduta, perché va a tutela della salute pubblica. Come legale mi sentirei di dire che quanto detto nel parere è assolutamente sostenibile in qualunque sede». Sul caso è acceso il faro della Procura regionale della Corte dei Conti.