Referendum, la scommessa di Zaia
«Se passa nulla sarà come prima»

Venerdì 17 Giugno 2016 di Paolo Francesconi
Referendum, la scommessa di Zaia «Se passa nulla sarà come prima»
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È la scommessa di Luca Zaia. In autunno il Veneto sarà la prima regione d’Italia che andrà a votare un referendum per l’autonomia. È l’unico quesito sui 5 previsti dalla legge regionale n.15 ammesso dalla Corte costituzionale che ha invece decapitato il referendum gemello sull’indipendenza. Sulla scheda non ci sarà neppure - perché a maggio il governo Renzi si è opposto - una domanda articolata ad indicare anche le materie (sanità, istruzione ecc..) su cui chiedere in concreto l’autonomia. Nei giorni della Brexit, comunque, il referendum resta un "oggetto" non identificato, strano: cosa si porta a casa? Si "rischia" di ottenere troppo o troppo poco? E dopo, cosa cambia?
 
Nel definirlo «inutile e pleonastico perchèénon fa che ripetere quanto già prevede l’articolo 116 della Costituzione» convergono curiosamente i giudizi di indipendentisti veneti come Alessio Morosin, - i quali comunque andranno obtorto collo a votare Sì - e quelli del Pd nazionale convinti che non appena sarà in vigore la nuova Costituzione renziana, con la clausola di supremazia, per le Regioni suonerà un’altra musica.
Intanto, la schermaglia Veneto-governo è già a buon punto: per risparmiare 14 milioni di euro - tanto costa organizzare l’operazione con i crismi e i controlli di legge - la Regione ha invocato l’accorpamento (election day) con l’altro referendum, quello sulle riforme costituzionali per il quale circola la data (ufficiosa) del 2 ottobre. Il premier Renzi risponderà dopo i ballottaggi, ma a Venezia si dà per scontato il suo no. Una bocciatura anticipata dal sottosegretario Bressa per il quale non avrebbe molto senso andare a votare su due referendum uno opposto all’altro. Appena arriverà il no, ci sarà la contromossa di Zaia: chiamare i veneti alle urne un po’ prima di Renzi. Perchè - è il calcolo - tanti Sì per l’autonomia del Veneto trainano tanti No alla riforma Renzi, vista nel Carroccio come «la pietra tombale su ogni autonomia, con lo Stato che accentra e toglie competenze e che in ogni momento, su tutto, può invocare il superiore interesse nazionale» tappando la bocca alle istanze dei territori. Due referendum e due visioni che fanno a pugni, incompatibili. «Una trattativa con Roma ci può essere - dice Marco Serena sindaco di Villorba - solo se resta questa Costituzione. Fermare la riforma è questione di sopravvivenza. Altrimenti l’Italia rischia il regime». È ovvio che se le urne bocciassero la riforma, Renzi andrà a casa e per la Lega di Salvini-Zaia si aprirebbero altri scenari.


Con queste premesse, il governatore lancia la sfida referendaria in grande stile («è la madre di tutte le battaglie»), si sbilancia prevedendo «un’affluenza del 65-70% e una percentuale di Sì superiore al 90%». E poi chiede una partecipazione-record: «Se vinciamo non è che l’indomani diventiamo autonomi, ma di certo nulla sarà come prima, il risultato condizionerà ogni trattativa con lo Stato, ogni legge che sarà fatta in Regione». Zaia, insomma, ci mette la faccia, si espone al rischio perchè l’investimento su un grande progetto autonomista di governo può fruttare un dividendo politico alto. «Qualunque partita nazionale si giocherà in Veneto - aggiunge - Non ce ne saranno di più accese. Non so quanto ci vorrà, ma il Veneto l’autonomia la porterà a casa. Se non sarà con Renzi sarà col prossimo governo di centrodestra». A modo suo, il governatore vuol riuscire in un campo dove tutti hanno fallito: ottenere l’autonomia aprendo una vera trattativa con lo Stato senza strappi, traumi, avventure nè stramberie (il sondaggio on line del 2014 con 2 milioni di fantomatici votanti), stando nella legalità e senza uscire dai binari della Costituzione. Infatti, quando la Consulta ha fatto scattare la tagliola, Zaia non ha seguito il richiamo della foresta, le pressioni di chi spingeva per reazioni muscolari, l’emulazione della Catologna che, dopo il no di Madrid, l’ha sfidata celebrando lo stesso la consultazione.
Piuttosto ha studiato una via istituzionale già provata dalla Lega di Bossi prima con la devolution poi con i decreti sul federalismo, tentativi finiti entrambi male, ma cambiando la formula: una via regionale, dal basso (il territorio) e non dall’alto (il Parlamento) che chiama il popolo a dire la sua per poi andare a Roma a trattare da una posizione di forza, con in tasca l’80-90% dei consensi della "categoria", con la pistola sul tavolo e l’obbligo, per la controparte, di prendere sul serio richieste e negoziato. Il Veneto come apripista per la Lombardia ed altre Regioni. Nella terra del Piave e degli alpini col tricolore, Zaia non sputa sulla bandiera nè sbeffeggia uno Stato usurpatore da cui scappare prima possibile. Nella patria dei venetisti - numerosi anche in Lega - che ogni anno, il 21 ottobre ricordano il plebiscito-truffa del 1866 (che sancì l’annessione del Veneto all’Italia), Zaia indica un risultato politico diverso ma non così lontano da quello che si avrebbe con l’indipendenza. Ribattono i secessionisti: ve la siete messa via, l’indipendenza. «Non ce la siamo messa via - replica l’assessore Roberto Marcato - questo è un passaggio necessario». Intanto con questa mossa, Zaia, sta ottenendo anche un altro effetto: quello di strappare il Sì anche del Movimento 5 Stelle e di una buona parte del Pd veneto: il quale, per non scomparire dai radar, non può che appoggiare la battaglia autonomista.
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