Pochi soldi in cassa, il testimone: «Orsoni disse: i soldi arriveranno»

Giovedì 16 Marzo 2017 di Gianluca Amadori
Giorgio Orsoni
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Nel marzo del 2010, a poche settimane dalle votazioni, il mandatario elettorale di Giorgio Orsoni era preoccupato perché in cassa c'erano pochi soldi per pagare le molte spese. Ma l'allora candidato (diventato sindaco di Venezia il successivo 8 aprile) lo rassicurò, annunciandogli che, di lì a pochi giorni, sarebbero stati effettuati alcuni versamenti. «I soldi effettivamente arrivarono», ha raccontato ieri il commercialista Valentino Bonechi, testimone dalla difesa, al processo che vede Orsoni imputato di finanziamento illecito, in relazione a 110 mila euro versati in bianco da alcune aziende per conto del Consorzio Venezia Nuova (che in quanto concessionario di opere pubbliche non poteva contribuire) e ad ulteriori 450 mila euro che Giovanni Mazzacurati avrebbe consegnato in nero.

Al processo è emerso che dal 25 marzo in poi affluirono contributi per ben 192 mila euro: oltre metà di quelli complessivamente registrati nell'intera campagna elettorale, in buona parte provenienti da società vicine al Cvn: San Martino, Clea, Bosca e Cam ricerche. La Procura ha incassato la deposizione di Bonechi come un punto a favore dell'accusa: Orsoni, infatti, ha raccontato di non essersi mai occupato dei finanziamenti elettorali, limitandosi ad accogliere la disponibilità di Mazzacurati consegnandogli il numero di conto corrente per poi non interessarsi più della questione. Il commercialista dice invece di averlo avvisato dei versamenti: «Sapevo che sarebbero arrivati», avrebbe risposto Orsoni.
 
In udienza sono stati ricostruiti dettagliatamente i conti della sua campagna elettorale: il preventivo iniziale era di 437 mila euro; Bonechi ha spiegato che fu successivamente ridotto a 287 mila (perché furono tolte alcune voci, tra cui quelle televisive): la stessa somma che risulta effettivamente spesa. Ma per la Procura il secondo rendiconto esibito in aula non è l'aggiornamento del preventivo, ma il consuntivo. E le altre spese inizialmente preventivate, sarebbero state pagate in nero. Così come potrebbe essere accaduto per quelle delle primarie.

Il segretario comunale del Pd, Alessandro Maggioni, ieri mattina aveva iniziato la sua deposizione spiegando di aver seguito soltanto la parte politica della campagna elettorale, negando di essersi mai occupato di quella finanziaria. Tanto meno di quella relativa alle primarie, le cui spese, a suo dire, erano a carico dei tre candidati, di fronte ai quali il Pd aveva una posizione super partes. La sua versione ha iniziato a scricchiolare quando il pm Ancilotto gli ha mostrato un documento, a suo nome, sequestrato nel 2013 nel computer della sede del Pd di Mestre, nel quale è indicato il budget per le primarie di Orsoni, con una spesa tra 35 e 65 mila euro. «Ho contribuito a predisporlo, ha ammesso Maggioni. L'ho fatto a titolo personale». L'ex segretario non ha invece riconosciuto come proprio un secondo documento riguardante il budget della campagna elettorale di Orsoni, sul quale parimenti risulta la sigla Maggioni come autore.

L'ex sindaco nei vari interrogatori ha sempre sostenuto che fu il partito ad occuparsi dei finanziamenti, ma tutti i vertici del Pd di allora, da Zoggia a Mognato e ora anche Maggioni, sembrano cadere dalle nuvole. L'unico che ieri ha ammesso di aver percepito 150 mila euro, nel 2010, è Giampietro Marchese, ex consigliere regionale del Pd, che per quei soldi ha già patteggiato. «Un errore che ho pagato», ha dichiarato fuori dall'aula. Marchese ha negato di aver mai ricevuto somme da Mazzacurati o dai suoi collaboratori: a lui i soldi furono versati da Pio Savioli del Coveco (coop rosse) per le spese elettorali del partito. Anche quelle di Venezia.

Gli altri testi citati da Orsoni, tra cui l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, saranno ascoltati in un'altra udienza. Nella prossima sono attesi quelli dell'ex eurodeputata di Forza Italia, Lia Sartori, anche lei accusata di finanziamento illecito.
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