Acque avvelenate, la Regione si costituisce parte offesa

Giovedì 19 Gennaio 2017 di Alda Vanzan
Acque avvelenate, la Regione si costituisce parte offesa
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Acque avvelenate da Pfas, la Regione Veneto si costituisce parte offesa. Significa che entra formalmente nel procedimento giudiziario (un’inchiesta è aperta a Vicenza dallo scorso settembre), può produrre memorie e indicare elementi di prova, oltre che consegnare, come ha fatto finora, carte e documentazioni. A seguire Palazzo Balbi sarà, oltre all’Avvocatura regionale, anche l’avvocato Dario Bolognesi, l’esperto di reati ambientali che ha seguito il caso Solvay.

La delibera di costituzione di parte offesa è di martedì scorso, ma Zaia l’ha resa nota ieri durante un punto stampa. L’altra novità è che il segretario generale alla Programmazione, Ilaria Bramezza, ha sollecitato i dirigenti dei settori Ambiente, Agricoltura e Sanità a formalizzare ulteriori proposte di intervento che la giunta provvederà poi a deliberare. E tra queste potrebbe esserci lo spostamento della Miteni, la fabbrica ritenuta da Arpav la principale fonte di inquinamento delle acque. Un inquinamento, ha puntualizzato Zaia, che risale al passato, quando la Miteni di Trissino si chiamava Rimar Ricerche Marzotto e scaricava già negli anni Settanta, prima ancora dei Pfas, sostanze chimiche. «La fonte di contaminazione è l’acqua, oggi la Miteni non produce Pfas», ha detto Zaia. In realtà Miteni produce sostanze diverse rispetto al passato, cioè a catena corta anziché lunga. Il punto, però, è che così come in passato non si conoscevano i possibili effetti sulla salute delle sostanze chimiche e perfluoroalchiliche altrettanto non si sa oggi degli effetti che potrebbero produrre i Pfas a catena corta. È così che il presidente della Commissione tecnica Pfas, Domenico Mantoan, che è anche direttore dell’Area Sanità e Sociale della Regione, lo scorso 21 ottobre ha presentato una corposa relazione chiedendo “ai soggetti istituzionalmente competenti la tempestiva adozione di tutti i provvedimenti urgenti a tutela della salute della popolazione volti alla rimozione della fonte di contaminazione”.

In pratica la Commissione Pfas dice che, oltre a quanto già fatto o avviato (i filtri messi nel 2013 agli acquedotti, il monitoraggio sulla popolazione, l’indagine sugli alimenti) bisogna valutare altre azioni per garantire la salute della popolazione. Ad esempio: l’acqua che esce dai rubinetti è “pulita” perché ci sono i filtri, ma siccome i filtri costano e ricadono sulle bollette, da va sé che bisognerà spostare a nord, cioè sopra la Miteni, i tre acquedotti di Brendola, Lonigo e Almisano (cosa possibile, dicono a Palazzo Balbi, se arriveranno gli 85 milioni annunciati dal Governo). L’inquinamento sotterraneo, però, rimane: si sa che i Pfas si trasmettono con l’acqua, che l’acqua sotterranea di mezza provincia di Vicenza è fortemente inquinata e che serviranno 80 anni per dimezzarne le quantità, con l’effetto - ha spiegato Mantoan - che l’inquinamento scenderà giù visto che la falda progredisce di un chilometro all’anno. Dopodiché gli esperti garantiscono che i Pfas non provocano il cancro, ma sono degli alteratori del metabolismo ed è stato accertato un aumento tra la popolazione esposta delle malattie cardiovascolari (+20%). In tutto questo, le fabbriche continuano a produrre Pfas (la Miteni, anche se ora a catena corta) o ad utilizzarli (le fabbriche conciarie) ed è per questo che potrebbe essere valutato lo spostamento delle sedi produttive. Dipende da cosa diranno i tecnici regionali. «È un ragionamento che va fatto con il nuovo Piano delle acque», ha detto Zaia.
Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 08:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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