Nordest, oggi i genitori sono
meno attenti al futuro dei figli

Lunedì 31 Ottobre 2016 di Natascia Porcellato
Nordest, oggi i genitori sono meno attenti al futuro dei figli
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«Oggi gli adulti si preoccupano del futuro dei giovani molto meno di un tempo»: secondo i dati raccolti da Demos per l’Osservatorio sul Nordest del Gazzettino, il 42% degli intervistati si dichiara moltissimo o molto d’accordo con questa affermazione. Rispetto al 2013, quando la quota raggiungeva il 47%, sembra stia regredendo la percezione che le nuove generazioni siano state messe in secondo piano da chi è più grande. Se però allarghiamo lo sguardo, vediamo che nel 1998 era il 28% a mostrare lo stesso orientamento: l’idea che si stia lavorando meno per il futuro dei più giovani, dunque, raccoglie oggi una quota di intervistati nettamente più ampia.
Secondo il cantautore vincitore del Premio Nobel per la letteratura 2016 Bob Dylan, «essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro». La speranza, infatti, tiene viva la volontà e consente di progettare il futuro, per quanto il presente possa sembrare difficile e ostile. Osservati attraverso questa lente, i dati che emergono dalle analisi appaiono meno preoccupanti. Perché si potrebbe lasciare liberi i giovani stessi di fare quello che sanno fare meglio: sperare, progettare, sognare, immaginare, costruire un futuro che sia a loro misura. 
E dovranno farlo proprio loro, secondo i nordestini: il 42%, infatti, ritiene che oggi gli adulti si preoccupino del futuro dei giovani molto meno di un tempo. Se guardiamo alla serie storica, vediamo che la percezione di un progressivo disinteressamento degli adulti è cresciuta nel corso del tempo. Nel 1998, infatti, era il 28% a constatare una certa indifferenza dei grandi rispetto alle sorti dei più giovani. Nel 2002 la quota è salita al 31% e cinque anni dopo la crescita segna un ulteriore balzo, arrivando al 38%. Tra il 2011 e il 2013 si supera abbondantemente la soglia del 40% (rispettivamente: 44 e 47%), per attestarsi oggi intorno al 42%. 
Sono soprattutto i giovani-adulti -cioè le persone tra i 25 e i 44 anni (47%) - a mostrare la maggiore persistenza di questo orientamento. Tra gli under 25 (38%) e gli anziani con oltre 65 anni di età (36%), invece, registriamo i valori più contenuti, mentre gli adulti (45-64 anni) mostrano un orientamento del tutto assimilabile alla media dell’area (44%).
Guardando al livello di istruzione, emerge come siano in misura maggiore coloro che sono in possesso di una licenza elementare (45%) o media (46%) ad essere più preoccupati dell’indifferenza degli adulti rispetto al futuro dei giovani, ma anche tra chi è in possesso di un diploma o una laurea la quota appare tutt’altro che trascurabile (37%).
Infine, consideriamo la categoria socio-professionale. I liberi professionisti (26%) e gli studenti (35%) sono le categorie che meno condividono la percezione dell’abbandono dei giovani da parte degli adulti. Sostanzialmente in linea con la media dell’area, invece, appaiono le opinioni espresse da impiegati (39%) e casalinghe (40%). Una preoccupazione più consistente, poi, è rintracciabile tra gli operai e i pensionati (entrambi 46%). In due categorie, però, l’idea che gli adulti pensino meno di un tempo al futuro dei giovani supera la soglia della maggioranza assoluta. Accade tra i disoccupati: il 53% si mostra preoccupato dell’indifferenza dei grandi rispetto al futuro di chi si affaccia alla vita adulta. Accade, però, anche tra coloro che disegnano il futuro del territorio e dell’Italia: gli imprenditori e i lavoratori autonomi (52%).
Ultimo aggiornamento: 1 Novembre, 08:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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