Chiusure domenicali, il Veneto ci riprova ma il tavolo è un flop

Martedì 24 Gennaio 2017 di Alda Vanzan
Chiusure domenicali, il Veneto ci riprova ma il tavolo è un flop
9
Se la risposta sarà come quella registrata ieri, c'è poco da sperare di rimettere mano alle chiusure festive delle botteghe, checché chiedano don Enrico Torta, il comitato Domenica No Grazie di Tiziana D'Andrea e pure la Regione Veneto. Semplicemente, non se ne caverà nulla perché nessuno darà retta a quel che domanda Palazzo Balbi. Ieri, con Roberto Marcato, è andata così. L'assessore al Commercio della Regione Veneto, assieme alla collega alle Politiche sociali Manuela Lanzarin, ha convocato il tavolo sulle aperture/chiusure festive e domenicali invitando i sindacati dei lavoratori e delle imprese ed estendendo l'invito ai parlamentari veneti. Questi ultimi sono fondamentali visto che la materia dal 2011 è di competenza dello Stato e che una proposta di legge che fissa a 6 il numero minimo di chiusure festive (sarebbero 12 ma sono previste 6 deroghe, tra l'altro a scelta) è incagliata in commissione a palazzo Madama da più di due anni. Non è molto (il comitato Domenica No Grazie vorrebbe solo 12 aperture domenicali), ma sarebbe già qualcosa.

Solo che dell'invito di Marcato i parlamentari veneti se ne sono fatti un baffo. Su 24 senatori, non ce n'era manco uno. Nemmeno Erika Stefani e Paolo Tosato che, se non altro per cortesia di partito - entrambi leghisti come l'assessore - avrebbero potuto perdere un'ora e partecipare alla riunione a Venezia. L'unico  senatore rappresentato - nel senso che ha mandato un collaboratore - era Giorgio Santini del Pd. Sul fronte deputati - che però la loro parte l'hanno già fatta votando la proposta di legge ora all'esame di Palazzo Madama - era presenti in quattro su una cinquantina: Michele Mognato del Pd, Filippo Busin della Lega, Gessica Rostellato ex M5s ora Pd, Marco Da Villa del M5s. Fine.

Così la riunione, con la stampa invitata ma tenuta fuori dalla porta, ha prodotto i seguenti risultati: 1) sarà fatta una sollecitazione ai parlamentari veneti per far approvare la proposta di legge impantanata al Senato; 2) analogo documento sarà presentato alla Conferenza Stato-Regioni per condividere la comune volontà di modificare la normativa. E la proposta avanzata da sindacati e categorie (Emilio Viafora, Cgil; Maurizio Franceschi, Confesercenti) di trovare comunque un'intesa regionale tra le parti? Federdistribuzione, che in Veneto rappresenta il 60% della grande distribuzione, non ci sta: «Noi ci muoviamo nell'ambito del sistema normativo nazionale», ha detto Pierluigi Albanese. Tradotto: se il Salva-Italia di Monti nel 2011 ha liberalizzato le aperture, facendo decadere la legge regionale veneta portata a casa dall'allora assessore Isi Coppola (quella norma diceva: 16 aperture all'anno più le 4 domeniche prima di Natale), perché un centro commerciale oggi dovrebbe chiudere quando può tenere aperto? Tra l'altro Albanese ha detto che aprire la domenica e nei giorni festivi conviene: «+2% del fatturato sul settore non alimentare, +0,8% sul food. E 400 milioni all'anno di retribuzione aggiuntiva per i dipendenti con 4.200 nuove assunzioni».

La verità è che sulle aperture festive c'è trasversalità di opinioni all'interno degli stessi partiti e il tema, comunque, non è ritenuto prioritario, anche se don Torta ripete che «la liberalizzazione estrema sta uccidendo la famiglia». Forse bisognerà aspettare aprile quando la Consulta si pronuncerà sulla legge del Friuli che ha fissato a 10 le chiusure festive: passasse, sarebbe una breccia per le altre regioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci