60 anni da Marcinelle
Tragedia degli italiani

Sabato 6 Agosto 2016 di Edoardo Pittalis
60 anni da Marcinelle Tragedia degli italiani
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Ogni mattina alle otto usciva di casa, entrava nella chiesetta sull’altura nera e suonava la campanella. Sapeva che non sarebbe arrivato nessuno, perché il paese di Marcinelle era vuoto e il suono sarebbe rimbalzato invano tra le colline basse e scure fatte di rifiuti di carbone. Una volta all’anno, l’8 agosto, moltiplicava i rintocchi: 262, come i minatori sepolti nel pozzo quel giorno del 1956.
C’è rimasto fino a quando è morto di silicosi e di vecchiaia, nel 1988. Angelo Galvan, vicentino dell’Altopiano, è stato il custode della miniera e della memoria della più grande tragedia sul lavoro in Belgio. Per la quale non ha pagato nessuno. La sentenza fu talmente scandalosa che gli stessi belgi la giudicarono un affronto e il re Baldovino chiese scusa.
Bois du Cazier era il cuore di Marcinelle, la miniera più antica, la più sfruttata, la meno attrezzata.
In Belgio nel dopoguerra gli italiani arrivarono a centinaia di migliaia dopo che i due governi avevano firmato il “patto del carbone”: l’Italia mandava braccia e il Belgio spediva carbone “a prezzo agevolato”, tre quintali al mese in cambio di ogni immigrato disposto a lavorare almeno cinque anni di fila. Bisognava avere “un’età ancora giovane e un buono stato di salute”. Il limite erano i 35 anni. Non furono accolti bene, da quelle parti non affittavano case a “stranieri, bambini e animali”, e gli italiani erano apostrofati “Gueles Noires”, musi neri. Dal 1946 nelle miniere belghe morirono centinaia di italiani. C’erano pochi giorni allegri, forse quando tutti gli immigrati si riversavano sulle strade della Vallonia per tifare Fiorenzo Magni che batteva tutti con la sua bicicletta. Passeranno molti anni prima che i belgi cambino opinione sugli italiani; ci vorranno una regina bionda, Paola Ruffo di Calabria, un cantautore romantico e un talento del pallone: Salvatore Adamo e Vincenzino Scifo erano figli di minatori.
La prima notizia di Marcinelle giunse in Italia con un’agenzia dell’Ansa datata 8 agosto 1956, ore 14: “La maggior parte delle donne che, con i volti impietriti, attendono fuori dai cancelli della miniera sono italiane e di minatori italiani”. La folla premeva contro i cancelli della miniera, una ragazza incinta morì schiacciata contro la recinzione di ghisa. Era incominciato tutto la mattina alle 8,10 quando un urlo infinito di sirena era seguito a una forte esplosione sotterranea e alla colonna di fumo denso salita dal pozzo 22. A quota 975 dentro l’ascensore due vagoncini di carbone avevano reciso i cavi dell’alta tensione e si era interrotto ogni contatto. Erano rimasti in trappola 262 minatori di ogni nazionalità, soprattutto italiani: 136, tanti abruzzesi e 15 – tutti parenti - dello stesso paesino, Manoppello, ai piedi della Maiella. I soccorsi si fermarono a quota 715, Galvan con la sua squadra salvò nove minatori, anche il veneziano Attilio Zanin, e annotò sul libretto di servizio: “Torno dall’inferno”. Sarà premiato per il suo coraggio da re Baldovino, assieme ad altri due vicentini, Ettore Bertinato di Montecchio Maggiore e Angelo Marchetto di Montebello.
Il 10 agosto l’Ansa riferisce: “Non ci sono più speranze di ritrovare qualcuno vivo”. L’elenco delle vittime è la geografia della miseria di quell’Italia. Tra i primi corpi recuperati quelli di due fratelli, Rocco e Camillo Jezzi, morti stringendo l’uno la mano dell’altro. I corpi galleggiavano sull’acqua sporca, gonfi, irriconoscibili. Uno di loro rinchiuse l’addio in un taccuino riposto nella tasca: “Ho fatto di tutto per uscire da questo inferno. Ma il gas arriva da ogni parte. Incomincio a soffocare. I miei compagni sono già caduti per terra, sento che sto per morire”. Non avevano le maschere antigas, la miniera risparmiava anche su quelle. Dopo Marcinelle saranno obbligatorie.
Il 18 agosto l’Ansa scrisse la parola fine: “Tutti morti. Altri 134 corpi raccolti. I cadaveri trovati sotto novanta centimetri d’acqua… Anche l’ultima, assurda ma umana speranza è finita”. Tra le vittime un bolzanino, sette friulani, tre trevigiani.
Fu l’inizio della fine della grande migrazione di minatori italiani. La miniera di Bois du Cazier è stata chiusa nel 1967, non più redditizia. Oggi gli impianti sono un museo dell’industria estrattiva e della grande tragedia. E’ il tempio della memoria.
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Ultimo aggiornamento: 11:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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