Matteo Salvini: «Per l'Italia serve ​il modello di governo Veneto»

Giovedì 18 Maggio 2017 di Ario Gervasutti
Matteo Salvini
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«Oui, merci, a vouz»: al telefono si sente un Salvini che parla con qualcuno in francese. Non è Marine Le Pen, è il tassista all'uscita dell'europarlamento. Ma da Strasburgo al Veneto il passo è breve (si fa per dire). Non ci sono Le Pen o Berlusconi che tengano, il segretario della Lega fresco di incoronazione alle primarie ci tiene a fissare il suo obiettivo: ha già in mente il modello di governo che intende proporre agli alleati in vista di elezioni politiche che continua a vedere vicine, in autunno.

Un modello rivoluzionario o pragmatico?
«Il modello Veneto. Anche lì ci siamo presentati in campagna elettorale con toni decisi su tasse, autonomia, immigrazione, e siamo stati premiati: voglio fare la stessa cosa a livello nazionale».

Ed è ancora convinto che Berlusconi sia d'accordo?
«Su alcuni punti non ci spostiamo di un millimetro: blocco immediato dell'immigrazione con ogni mezzo possibile, autonomia regionale e per questo il referendum del 22 ottobre è fondamentale, ritorno alla gestione della moneta. Poi se sul tema delle tasse io dico che l'Italia sta in piedi con un'aliquota unica del 15% e Berlusconi dice del 22%, vabbè... mica mi impicco. Ma l'Europa deve essere ridisegnata da cima a fondo».
 
Ma come sono i rapporti con Forza Italia? In Veneto c'è da parte di alcuni forzisti malumore per quella che definiscono una eccessiva sottomissione alla Lega.

«Sono movimenti di assestamento. Non si ripercuotono a livello locale, ma è chiaro che in autunno dovremo sistemare alcuni punti e condividerli con Forza Italia».

Berlusconi sembra ritornato in piena attività: è sicuro che non abbia torto su Le Pen? Non è che l'obbiettivo della Lega per le politiche è in realtà una onorevole sconfitta?
«Proprio ieri ho letto sul Gazzettino l'indice di gradimento di Zaia; e in Veneto abbiamo vinto meno di due anni fa. Ma siamo alleati della Le Pen da tre anni, io cerco di portare le nostre idee al Sud da ancor prima: eppure il Veneto dei lavoratori, per bene, autonomista, si dimostra soddisfatto. Il dibattito sul lepenismo è surreale, interessa i giornali e qualche politico. Io lavoro per una alleanza la più ampia possibile, e vorrei di conseguenza un sistema elettorale maggioritario che obbliga alla coalizione. Non capisco perché altri vogliano il proporzionale».

Sospetta accordi inconfessabili?
«Eh... Diciamo così: il modello veneto presuppone una squadra e un meccanismo elettorale maggioritario, e io il modello veneto lo trasferirei al livello nazionale domani mattina».

Ma non è che anche in Veneto fili tutto liscio, anche al vostro interno. C'è maretta a Rovigo, per esempio, perché il sindaco Massimo Bergamin è stato escluso dal consiglio federale.
«L'avrei voluto ben volentieri al mio fianco, è un'altra vittima delle espulsioni tosiane e poi fortunatamente recuperato...».

E allora perché non è in squadra? Forse perché in Polesine lei ha raccolto meno consensi che altrove?
«Macchè... Il regolamento dice che non può far parte della squadra perché è rientrato in Lega da meno di 5 anni. Ma io calcolo il valore della persona, e l'ho subito chiamato per annunciargli che avrà un ruolo importante nel coordinamento dei sindaci della Lega. Sarà una pedina fondamentale».

C'è fibrillazione nella Lega anche a Padova. Forza Italia non sembra così coinvolta nella campagna per Bitonci: sono ancora residui della frattura che ha portato alla caduta dell'ex sindaco o è frutto dei recenti raffreddamenti nei rapporti tra lei e Berlusconi?
«C'è chi - come i leghisti - è più abituato a essere presente sul territorio e chi meno. Tornerò a Padova e Verona, dove si vota, almeno altre due volte: ma ho visto una bella squadra e una bella macchina. Anche quelli di Forza Italia, sono contento del loro lavoro e si raccoglieranno i frutti».

Molti elementi del programma leghista non sono lontanissimi da quelli del M5S. Un accordo tra lei e Grillo è solo una suggestione?
«È impossibile. Su temi come tasse, lavoro, immigrazione sono palesemente a sinistra, e votano di conseguenza. Sul tema lavoro propongono un reddito di assistenzialismo di 800 euro, che non è certo uno stimolo a lavorare ma solo l'ennesimo sussidio. Gli atti parlamentari parlano chiaro: sono su posizioni di vetero sinistra»
.
Domenica a Parma c'è il congresso della Lega. Maroni mastica amaro ma ha riconosciuto la sua vittoria alle primarie. Sarà un congresso di conciliazione o di pulizia?
«Lascio scissioni, scazzottate e inciuci al Pd. I militanti hanno risposto in maniera chiara, domenica confermerò la strada e la squadra, e tutti sono invitati a remare. Non ho mai risposto agli insulti, spero che Bossi non continui così perché i nemici sono fuori, non dentro la Lega. Se dovesse continuare, ricordo come andò a finire con Tosi qualche anno fa: diceva il contrario su tutto e poi si è capito il motivo, e con chi andava a braccetto».

Zaia sulla linea della Lega sembra più cauto di Maroni, non si sbilancia.
«Hanno caratteri diversi, ma sono orgoglioso che i dati li pongano ai primi tre posti tra i governatori più amati. Stimo e ringrazio entrambi; sicuramente in Veneto c'è stato in più il coraggio di far fuori le mele marce, gli alfaniani e i mezzi renziani. Per questo dico che il modello veneto è quello che serve al centrodestra. E all'Italia».
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