Le "radici" venete di Frankestein: quegli esperimenti sui cadaveri nel 1803

Giovedì 22 Novembre 2018 di Adriano Favaro
Le "radici" venete di Frankestein: quegli esperimenti sui cadaveri nel 1803
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Sono stati due scienziati italiani a contribuire alla creazione e allo sviluppo della figura letteraria e mitologica di Frankestein la Creatura: il fisico bolognese Giovanni Aldini e l'antropologo veronese Cesare Lombroso. Bisogna leggere anche in questa chiave la recente pubblicazione dell'edizione originale, per la prima volta in italiano, del libro che Mary Shelley scrisse e che ora Neri Pozza editore (352 pagine - 15 euro) pubblica col titolo di Frankenstein 1818. Un testo che fa vedere con maggiore chiarezza i tormenti e le ombre che scossero la giovane inglese e le conseguenze sull'immaginario collettivo che la Creatura ancora esercita. Mary Shelley e il marito, il poeta romantico Percy Bysshe, si erano molto interessati agli esperimenti che nel 1803 Giovanni Aldini nipote di Luigi Galvani aveva portato a Londra. Anche corrompendo i giudici Aldini ottenne di poter usare cadaveri di  condannati a morte e impiccati: quando la corrente attraversava un defunto questi pareva ri-animarsi. Tutto avveniva in pubblico tra lo sgomento degli astanti e la vertigine nell'assistere ad una specie di possibile inattesa eternità. La Creatura, nel romanzo composta da pezzi di cadavere prende vita in modo quasi misterioso, scossa da una presenza sconosciuta. Poiché sarebbe apparso scandaloso che una donna potesse scrivere un romanzo del genere (per molti il primo di fantascienza) tutti credettero fosse opera del marito. Fu un fallimento perché le 500 copie anonime rimasero quasi tutte invendute.
GENERARE FIGLI E MOSTRIL'autrice inglese - allora diciottenne, aspettava la nascita di una figlia che morirà pochi giorni dopo aver visto la luce - nel 1831 (il marito era annegato a Viareggio nel 1822) riscriverà quel testo, Frankenstein o del moderno Prometeo firmandolo; ed è la versione che molti conoscono. Frankenstein è in verità il cognome di David, nel romanzo lo scienziato-creatore. Ma quel nome è diventato noto al punto che fin dalla metà del 1800 venne usato per definire la creatura-mostro. Molti elementi della storie che Mary Shelley scrive affondano alla sua esistenza: la madre muore che lei aveva dieci giorni (agosto 1797) e il padre l'alleva nel culto della genitrice che l'ha generata. Poi si innamora del poeta Shelley ventenne - allora sposato, la cui moglie si suiciderà un anno dopo - con il quale va regolarmene in visita alla tomba della mamma. Partorisce una loro bimba che muore dopo pochi mesi e nei suoi diari descrive l'accaduto senza mai dare un nome alla figlia. Da allora e per otto anni Mary vivrà tra gravidanze continue e lutti.
Il libro prende vita anche in un'atmosfera di rara cupezza: quell'estate Mary, il marito, il poeta Byron e la sorella (amante di Byron) sono in vacanza a villa Leodati sul Lago Lemano, vicino a Ginevra. Nel 1815 in Indonesia era esploso il vulcano Tambora e l'eruzione provoca, mesi dopo un anno senza estate». In Italia scenderà neve di color rosso, in Europa praticamente non ci sono raccolti di mais e grano; e poiché in Svizzera piove sempre Bayron suggerisce al gruppo di creare storie antinoia.
CERVELLO CRIMINALESarà il teatro a dare notorietà alla Creatura, spesso anche una caricatura, che rappresentò l'immagine del mostruoso - assomigliando di frequente alla figura dello schiavo nero - di dimensioni enormi rispetto ai bianchi. Mary e il marito Percy Bysshe che hanno vissuto da vicino la situazione degli operai di Londra e le agitazioni contro l'impiego delle macchine che distruggono i posti di lavoro si informavano delle rivolte nere e della rivoluzione Haitiana.
A teatro la Creatura ha una modesta o mancante cultura; come apparirà nel film del 1931, impersonato da Boris Karloff. Nel libro di Mary Shelley la Creatura invece leggeva Il Paradiso Perduto, le Vite di Plutarco e i dolori del Giovane Werther (gli stessi libri che sta leggendo l'autrice).
È qui che entra in scena il medico Cesare Lombroso perché nel film il dottor Waldman, insegnante di David Frankenstein dice testualmente agli studenti: «Abbiamo uno dei cervelli umani tra i più perfetti arrivati all'università e a fianco un cervello anormale, del criminale tipico. Osservate la scarsa circonvoluzione nel lobo frontale, in comparazione col cervello normale, e la chiara degenerazione del lobo frontale medio. Tutte le caratteristiche degenerate coincidono sorprendentemente con la storia dell'uomo morto che abbiamo di fronte, la cui vita fu di brutalità, violenza e assassinii». Parole prese di peso dal testo lombrosiano. Come si sa nel film il collaboratore di Frankenstein prenderà per errore il cervello del delinquente. L'antropologo Lombroso descriveva il criminale (la prima sua esperienza è tra i briganti della Calabria) come un selvaggio tra i civilizzati, con bassa capacità mentale, senza controllo emotivo, violento, i cui atteggiamenti sono irrimediabili. Cesare Lombroso (1835-1909) studia a Padova e Vienna e scrive L'uomo delinquente nel 1876 sostenendo, principalmente, che il comportamento criminale è innato. Non un atteggiamento acquisito come dice Mary Schelley per la Creatura che si lamenta: «Finché non avrò né legami nè affetti mi nutrirò di odio e di cattiveria».
LOMBROSO AVEVA RAGIONELombroso piacque a molti anche se successivamente il suo lavoro scientifico venne rifiutato, ma adesso è in parte rivalutato. Dopo anni di accuse di razzismo e non scientificità l'arrivo della modernità che seppellisce il positivismo e gli studi di Lombroso. Però il criminologo e psichiatra inglese Adrian Raine, un paio d'anni fa, ha scritto un saggio L'anatomia della violenza, edito da Mondadori, sostenendo che su crimine e violenza ripetuti incidono non solo fattori sociali ma anche elementi biologici e genetici perché la violenza è un comportamento complesso. E le pieghe biologiche del cervello sono lì a dire di questo fattore violento indipendente dall'ambiente. Il Mostro, quella Creatura, rimane in noi. Così come cento anni fa (1917) il pittore ceco Joseph apek, in un racconto esprime il concetto di automat (automa) lasciando poi al fratello Karel l'introduzione nel 1920 del dramma di robota (forza lavoro) che insegue il mito ebraico del Golem, il simulacro d'argilla che si muoveva come servo grazie a pratiche esoteriche. Tutto vecchio e tutto nuovo tanto che i filosofi contemporanei guardano alla Silicon Valley e ai supertecnici di computer e web come ai nuovi Frankenstein, creatori di mostri; a loro volta (paurose) Creature della modernità. Vicini al genere letterario che - come scrive Nadia Fusini nell'introduzione al libro di Neri Pozza - suscita tuttora l'orrore della «scoperta che la cosa di tenebra è dentro di noi».
Ultimo aggiornamento: 13:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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