Noi, donne-pastore. Dalla parrucchiera all'ingegnere: scelte d'amore e passione

Lunedì 31 Dicembre 2018 di Donatella Vetuli
Noi, donne-pastore. Dalla parrucchiera all'ingegnere: scelte d'amore e passione
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Alice è stata attaccata dai lupi, Danusia ha subito l’incursione dell’orso, Marta si batte contro una mentalità patriarcale dura a morire nelle malghe e tutte, con le altre ragazze degli alpeggi, resistono alla non meno feroce insidia predatoria della burocrazia. Sono le pastore, donne che hanno scelto la vita tra pecore e capre, allevatrici erranti tra monti e valli, a cui non spaventa la solitudine dei pascoli ad alta quota, né la fatica delle stalle dove non ci si ferma neppure a Natale. Cento nel Veneto, conta la Coldiretti, molte nuove di un mestiere considerato dalla notte dei tempi maschile, e, tra queste, ingegneri, ricercatrici, biologhe, insegnanti, anche una ex parrucchiera. Non  hanno ereditato un gregge, né aiutano semplicemente mariti e compagni nell’azienda di famiglia, ma si dicono pastore per passione, e scelta. Poco Heidi, molto imprenditrici, non derogano al rispetto dell’ambiente, ai ritmi lunghi delle stagioni, alla cura quasi materna degli animali, tra parti, mungiture e malattie, ma sanno di tecnologia, e spesso la laurea conseguita una vita fa protegge dalla natura che può svelarsi matrigna.

A FALCADE
Alice Masiero, 31 anni, padovana di Camposampiero, faceva la parrucchiera. Di quel periodo tra phon e shampoo deve conservare solo la lunga chioma bionda. Dal 2014 conduce al pascolo oltre mille pecore, 14 capre e 8 asini, per la verità tutti ancora del suo fidanzato Fabio, anche se annuncia che presto avrà un gregge solo a suo nome. Migra tutto l’anno da una valle all’altra del Veneto, attraversando le province di Belluno, Treviso, Padova, Vicenza e Venezia. D’estate si ferma a Falcade. «Per fare una vita così ti devono piacere gli animali - dice -. Io ho conosciuto il mio ragazzo in una malga dove ero andata a lavorare. All’inizio è stato difficile seguirlo nella transumanza, ma con le comodità molto è cambiato». La comodità è tutta in una roulotte con riscaldamento a gas. «Dormo lì in inverno - spiega -, d’estate in piccoli bivacchi di legno». Due anni fa l’attacco dei lupi. «Eravamo nel parco Pale di San Martino, tra il Trentino e la provincia bellunese. Io e Fabio ci eravamo sistemati a riposare a 15 minuti dal gregge. La mattina dopo abbiamo trovato 50 pecore sbranate. Oggi per difendermi ho un paio di pastori maremmani tra i nostri dieci cani. L’aspetto più bello di questo lavoro è il contatto con gli animali che si affidano completamente a noi. Le nascite mi danno sempre grande soddisfazione, è la vita che continua. Pesante è resistere alle basse temperature, ma non come prima». Sveglia alle 6, un tè caldo e poi i pascoli, anche sotto un cielo stellato, anche da sola quando il gregge va diviso. Alle 21 è già avvolta dalle coperte. Ma l’alba può portare le sferzate del gelo, la paura dei lupi, la solitudine degli alpeggi. Però Alice non si scoraggia mai. «Seguo gli animali, raccolgo le erbe per lo sciroppo, pulisco i sentieri. E se mi va ascolto i Pink Floyd. A Natale ero da mia mamma a Camposampiero. Il pranzo, una doccia e via, dal gregge». 

IN VAL ZOLDANA
Marta Zampieri, 47 anni, ingegnere trevigiana di Motta di Livenza, oggi vive a Cornigian di Forno di Zoldo, nel Bellunese, dove si è riscoperta allevatrice. «Adoro gli animali - dice -. Così nel 2013 insieme al mio ex marito partecipai al bando comunale per gestire una malga. Lasciai la professione». Non sapeva nulla della pastorizia, se non qualche rudimento sulle capre da cachemire che aveva tenuto per hobby quando era libera dai calcoli su strade e edifici. «Ho imparato tutto da sola, anche a fare il formaggio - ricorda -, con i corsi e un’applicazione che direi ingegneristica». Possiede una quarantina tra pecore, capre da latte e da cachemire, oltre a sei mucche di cui una prossima al parto. Firma ancora qualche progetto, ma non ha troppa nostalgia del passato. «Anche la pastorizia come l’ingegneria è un mondo affascinante. In fondo si assomigliano, ti devi arrangiare e trovare la soluzione». Difficoltà ce ne sono, una in particolare. «Non sono nata qui e per gli abitanti del posto resto forestiera - rivela -. Inoltre sono donna. Sono pochi quelli che vengono a prendere il mio formaggio. Io la chiamo invidia atavica».
Marta è una delle pastore del documentario di Anna Kauber “In questo mondo”, vincitore all’ultimo festival di Torino. Un bellissimo affresco sulla pastorizia al femminile realizzato in due anni di lavoro attraverso un viaggio di 17 mila chilometri, tra valli e crinali di un’Italia sconosciuta, con 100 intervistate dai 20 ai 102 anni. «Le differenze - dice la regista - ci sono anche qui. Maggiori presenza e autonomia delle donne al Nord, piuttosto che al Sud. Ma per tutte è una scelta per passione. Non cambierebbero nulla della loro vita».

IN FRIULI
Così anche per Danusia Piovesana, 44 anni, cresciuta nel Trevigiano, a Pieve di Soligo, oggi allevatrice a Moggio Udinese. È tra le pastore del racconto corale della Kauber. «Sono laureata in Scienze ambientali e facevo l’insegnante - afferma - . Professoressa in un istituto professionale di Tolmezzo. Ma c’era qualcosa che non funzionava, come se fossi staccata dalla terra». A 40 anni lascia la scuola, torna alla terra, si dedica ad allevare capre. «Mi sono ritrovata brava a gestire gli animali, eppure è tuttora una spinta inspiegabile». Oggi ha 34 capre da latte, fa formaggi ed alpeggia a Verzegnis, in Friuli, dove, ricorda, deve difendersi da una coppia di lupi. Sempre in Friuli, nella Val Aupa, ha avuto la visita di un orso, che le ha dissotterrato la carcassa di una capra. Niente, precisa, in confronto alle difficoltà burocratiche che deve affrontare. «Devi pagare per qualsiasi cosa. Ci trattano come se invece di allevare ovini spacciassimo eroina». E poi l’incertezza economica di una azienda a lungo rodaggio. La sostengono la bellezza della natura e la relazione con gli animali, anche quelli pericolosi. Il suo Natale è stato sui pascoli.

IN ALPAGO
Come per Katy Mastorci, 34 anni, che a Fregona, nel Trevigiano, nella sua azienda agricola Vitiovitec, cresce 40 pecore di razza alpagota, a rischio di estinzione. Allevamento al pascolo 365 giorni all’anno, nessuno di riposo per lei che è anche mamma di due bambini. «Ma la cosa più bella di questo mestiere - dice - è che l’energia che metti nella natura ti viene restituita». La sua nuova vita è iniziata nel 2016 quando lascia il Centro di riferimento oncologico di Aviano. «Ero ricercatrice - ricorda -. Dieci anni di borse di studio e di precariato. Decisi di cambiare. In realtà già avevo avuto prima qualche pecora nel campo davanti casa insieme al mio border collie». Una passione che si trasforma in vera opportunità professionale, anche se la pastorizia, sottolinea, non è premiata dal mercato. «La lana - spiega Katy - non vale niente da noi. È considerata rifiuto speciale». Ma non si arrende, fiera custode, come le sue compagne, delle terre alte.

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Ultimo aggiornamento: 1 Gennaio, 15:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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