La strage: un'anziana morta, pm accusata e poi prosciolta

Giovedì 4 Gennaio 2018 di Angela Pederiva
La strage: un'anziana morta, pm accusata e poi prosciolta
LA STORIA
Nel grande libro dei misteri italiani, c’è un capitolo tutto veneto, a cui ora si aggiunge una nuova appendice. Sono pagine che sarebbero buone per un romanzo: un super-testimone padovano che svela vecchie trame nere, un ex ragazzo veronese che viene sospettato di uno dei più gravi attentati degli anni di piombo, un’anziana bellunese che prima parla e poi muore, una pm rodigina che finisce indagata per abuso d’ufficio nonché lesioni e omicidio colposi. Invece è pura cronaca, come certifica la sentenza della Corte di Cassazione depositata l’altro ieri, che conferma l’archiviazione di tutte le accuse a carico del magistrato Emma Avezzù, procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Brescia: ma questa è solo la fine di una storia che vale la pena di raccontare dall’inizio.
LA BOMBA
Tutto comincia con una bomba, il 28 maggio 1974 a Brescia, nella centrale piazza della Loggia. Un ordigno nascosto in un cestino della spazzatura esplode mentre è in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista promossa dai sindacati. La deflagrazione della miscela di gelignite e dinamite provoca la morte di 8 persone e il ferimento di altre 102. Il lungo e tortuoso percorso giudiziario che ne deriva passa per istruttorie fatte e rifatte, condanne emesse e annullate, assoluzioni pronunciate e cancellate, imputati strangolati in carcere, ipotesi di coinvolgimento dei servizi segreti e di apparati deviati dello Stato, centrali occulte di potere, doloso sviamento delle indagini, fughe, richieste di estradizione, veleni. Insomma, la storia d’Italia riassunta in una carneficina, la cui matrice viene identificata nella destra eversiva. Le varie inchieste portano più volte al Veneto, finché il 20 giugno 2017 la Corte di Cassazione cristallizza la verità processuale nella conferma in via definitiva di due condanne all’ergastolo, inflitte il 22 luglio 2015 dalla Corte d’Appello di Milano al veneziano Carlo Maria Maggi e al padovano Maurizio Tramonte, con motivazioni che grondano amarezza per l’opacità della vicenda.
IL NUOVO FILONE
Nel frattempo spunta però un nuovo e doppio filone d’indagine, relativo ai presunti esecutori materiali dell’eccidio. A muoversi sono le procure della Repubblica e per i minorenni di Brescia, seguendo entrambe un’altra pista veneta, che conduce questa volta a Verona. In particolare gli inquirenti minorili arrivano ad un uomo che all’epoca del fatto non aveva ancora compiuto 17 anni: Marco Toffaloni, militante di estrema destra noto fra i camerati come “Tomaten”, nato nel capoluogo scaligero (dove frequentava lo stesso poligono di tiro in cui si esercitava il defunto ordinovista veneziano Carlo Digilio) ed attualmente residente in Svizzera con un altro nome. Secondo una perizia del Ris, svolta nell’ambito dell’incidente probatorio effettuato il 22 luglio 2016, sarebbe lui il ragazzo immortalato in una foto vicino al corpo dilaniato dell’insegnante Alberto Trebeschi.
Tuttavia a pesare contro il 60enne sono anche le parole del collaboratore di giustizia Gianpaolo Stimamiglio, originario di Padova e cresciuto a Verona, ex militante di Ordine Nuovo e dei Nuclei di Difesa dello Stato, che con le sue rivelazioni sull’amico di un tempo («Mi disse di avere avuto un ruolo tutt’altro che marginale nella strage») diviene il super-testimone dell’inchiesta.
I RISCONTRI
A condurla è l’allora sostituto (ed oggi procuratore) Avezzù, che cerca subito riscontri alle dichiarazioni di Stimamiglio, la cui sorella Rita è nota per essere arrestata nel 1976 sul Garda con il passaporto di Toffaloni, oltre che per essere stata accusata di aver dato ospitalità nel 1981, nella città del Santo, agli estremisti Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini, implicati nella strage di Bologna dell’anno prima. Il 14 dicembre 2012 la pm, originaria di Rovigo, si reca perciò nella casa di riposo di Pieve di Cadore per raccogliere la testimonianza di Benita Sartor, nativa di Sappada e madre degli Stimamiglio, a proposito delle vecchie frequentazioni di famiglia. I ricordi dell’anziana si aggiungono così alle affermazioni di Gianpaolo.
Ma gli altri suoi figli, appunto Rita oltre che Pietro ed Eva Maria, non gradiscono. Nei confronti dell’inquirente parte infatti un esposto per abuso d’ufficio, che viene assegnato alla procura di Venezia, competente per i procedimenti riguardanti i magistrati in servizio a Brescia. Il pm Carlo Nordio chiede l’archiviazione, ma il gip Alberto Scaramuzza ordina un supplemento di indagine, fissando quattro udienze che vengono celebrate a novembre del 2014, aprile del 2015, febbraio e dicembre del 2016. Alla fine il giudice archivia, ma rinvia gli atti alla procura per le ipotesi di lesioni e omicidio colposi, visto che nel giorno di Natale del 2014 l’87enne Sartor è morta, secondo i suoi familiari proprio in conseguenza del turbamento patito nell’audizione.
IL SOLLIEVO
Il fascicolo va per competenza territoriale a Belluno, dove il pm Roberta Gallego e il gip Federico Montalto esaminano le cartelle cliniche e concordano sull’archiviazione, disposta il 13 febbraio 2017 e definitivamente sancita lo scorso 21 novembre dalla Cassazione, che in più passaggi definisce «infondata» la notizia di reato e «ineccepibile» il provvedimento della magistratura bellunese. L’ormai ex indagata Avezzù, difesa dagli avvocati Marco Petternella e Carlo Federico Grosso, esprime sollievo: «Non nascondo di aver vissuto con sofferenza questi anni di calvario. Nel male voglio però cogliere uno spunto di bene: ho capito cosa vuol dire stare dall’altra parte». Ma ora è tempo di tornare ad indossare la toga: prossimamente è attesa infatti la chiusura delle indagini a carico di Toffaloni, per il quale si profilerebbe la richiesta di rinvio a giudizio per la strage di quasi 44 anni fa. E la storia continua.
 
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