Gros-Pietro: «Nessuna conquista. Messo in sicurezza il Nordest»

Mercoledì 28 Giugno 2017 di ​Rosario Dimito
Gian Maria Gros-Pietro
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Presidente Gian Maria Gros-Pietro, a più voci avete sostenuto che nessun regalo è stato fatto a Intesa Sanpaolo con l'assegnazione delle due banche venete. Però con un saldo pari diventate la banca leader in Veneto, non le pare?
«Mettere in sicurezza il sistema produttivo del Nordest era un obiettivo irrinunciabile, e lo abbiamo perseguito fin dal principio, con tutti i mezzi a nostra disposizione. Ci siamo impegnati in Atlante per 1 miliardo, e una parte importante di questo impegno si è tradotta nella sottoscrizione di azioni della Vicenza e di Veneto Banca, oggi azzerate. Quando è risultato evidente che Atlante non bastava, e mancando iniziative di mercato, ci siamo detti disponibili, insieme ad altre banche di rilievo, a un intervento di sistema, quindi senza pretese di conquista, purché fosse condiviso. Non si è trovata una partecipazione sufficiente. Si correva il rischio che le due banche finissero in risoluzione e che le imprese del Nordest perdessero i loro finanziatori locali e che i risparmiatori perdessero i loro risparmi. Per evitare questi rischi ho convocato un cda straordinario mercoledì 21 giugno che ha deliberato la proposta poi avanzata al Mef secondo la quale ci prendevamo in carico i depositi, le obbligazioni non subordinate, altri debiti e tutti i dipendenti dei due istituti a condizione che i nostri equilibri patrimoniali e reddituali non venissero compromessi.

E poi che è accaduto? 
«La sera di venerdì 23 le due banche sono finite in dissesto, non avrebbero potuto riaprire gli sportelli lunedì 26. Non c'era tempo per aspettare la cornice normativa definita, sicché domenica 25 un nuovo cda straordinario ha deliberato di procedere urgentemente al trasferimento secondo le proposte già formulate. Ricordo comunque che il trasferimento resta subordinato alla vigenza della cornice prevista dal decreto emanato sempre domenica dal governo e sottoscritto dal Capo dello Stato».

Quanto potrà cambiare il nuovo piano d'impresa in gestazione con l'arrivo degli asset di Vicenza e Veneto Banca?
«Abbiamo appena cominciato a ragionare sugli scenari. Certamente la prospettiva è cambiata nell'ultima settimana. Un nostro team è in Veneto per far fronte alle mille incombenze».

Chi guiderà le operazioni sul territorio?
«Ovviamente il ceo Carlo Messina che ha anche il compito di elaborare il nuovo piano: non ci sarà disallineamento tra i due livelli. La dimostrazione? Abbiamo già messo 5 miliardi a disposizione delle necessità creditizie derivanti dall'operazione».

Pur sopportando costi limitati, l'esservi accollati le nuove masse potrebbe però rallentare la vostra performance...
«Non accadrà. Ritenevamo e riteniamo che fosse interesse della banca, oltre che del paese, che le due banche venete venissero messe in sicurezza. Ma non accetteremmo che ciò vada a scapito dei nostri clienti, dei nostri azionisti e di chi lavora con noi. Abbiamo rispetto per le persone, quale che sia il ruolo nel quale si rapportano a noi. Penso che questo sarà un nostro contributo importante nella operazione Nordest».
 
Essendo Intesa già presente in quelle zone la somma degli affidamenti a clienti darà luogo a concentrazione di rischi e quindi a necessità di rivedere alcune posizioni?

«Sbaglia chi pensa che una banca bene amministrata non tenga conto del debito che i propri clienti hanno presso altre banche. Noi però siamo molto avanti nell'elaborare tecniche di valutazione dei clienti che tengono conto anche dei cosiddetti fattori intangibili: capacità tecnologica, investimenti in professionalità, appartenenza a una filiera, eccetera. Le imprese che hanno voglia e capacità di crescere con noi troveranno la finanza necessaria».

Se si fosse intervenuti prima come anche per il Montepaschi, si sarebbero alleggeriti gli oneri complessivi?
«Non c'è dubbio. Nelle crisi bancarie il tempo divora il patrimonio e la liquidità. Se si fosse potuto usare con rapidità il Fondo Interbancario probabilmente si sarebbe potuto fare il necessario spendendo molto meno. E solo denaro proveniente dalle banche. Purtroppo, in quanto fondo obbligatorio, ancorché a finanziamento esclusivamente privato, è stato giudicato aiuto di stato, quindi incompatibile».

Questo salvataggio dimostra l'inefficacia delle regole introdotte con il bail-in. Alla luce di questa operazione quali modifiche andrebbero fatte?
«Credo che sia giusto cercare di evitare che i contribuenti paghino per le crisi delle banche. Però bisogna stabilire allora chi paga. Non è giusto, per esempio, che debbano essere sempre gli azionisti delle banche ben condotte a pagare per quelle male amministrate. Né è giusto che si esproprino i risparmi di chi ha investito in un titolo che, al momento della sottoscrizione, non aveva caratteristiche di rischiosità. Mi sembra che da questa esperienza emergano almeno due insegnamenti ben chiari. In primo luogo, per imporre nuove regole ai risparmiatori, si devono seguire adeguati criteri di gradualità. Ma allo stesso tempo è necessario investire in educazione finanziaria, affinché la prima difesa del risparmiatore sia rappresentata da una capacità, almeno elementare, di valutare la rischiosità delle proposte».

C'è chi sostiene che il format Intesa crea un altro precedente, che va oltre le good bank.
Creare nuovi format spetta ai legislatori e ai regolatori. Noi abbiamo soltanto cercato di risolvere un problema. Se la soluzione offre spunti per nuovi indirizzi, saranno le istituzioni a dirlo».

Pensa che messe al sicuro le venete, non ci siano altre banche in pericolo?
«Risolte le banche venete e Mps, non vedo nel panorama italiano problemi comparabili».

Ultimo aggiornamento: 14:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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