Autonomia, 30 costituzionalisti "preoccupati". Bertolissi la difende: «Unisce il Paese»

Mercoledì 6 Marzo 2019
Il professor Mario Bertolissi nell'Aula magna del Bo
3
VENEZIA - Il Centro-Sud contro la richiesta di autonomia del Veneto, accusata di «spaccare l'Italia», si allarga dal mondo politico a quello "tecnico", e diventa un confronto tra illustri accademici. Trenta costituzionalisti, tra i quali tre presidenti emeriti della Consulta Francesco Amirante, Francesco Paolo Casavola e Giuseppe Tesauro, hanno rivolto un appello al capo dello Stato e ai presidenti di Camera e Senato, dicendosi «fortemente preoccupati per le modalità di attuazione finora seguite nelle intese sul regionalismo differenziato e per il rischio di marginalizzazione del ruolo del Parlamento, luogo di tutela degli interessi nazionali». I firmatari chiedono che sia garantito «il ruolo del Parlamento anche rispetto alle esigenze sottese a uno sviluppo equilibrato e solidale del regionalismo italiano, a garanzia dell'unità del Paese».

All'appello risponde un altro costituzionalista di rango, il professor Mario Bertolissi, che difende la proposta avanzata dal Veneto, la quale, secondo il famoso giurista, che è membro della delegazione trattante per l'Autonomia differenziata della Regione del Veneto
non solo non mina l'unità della repubblica, ma anzi la difende e la rafforza, contro le discriminazioni che l'assetto attuale ha introdotto.

I testi contenuti nella bozza di intesa del Veneto «richiamano costantemente i principi fondamentali della Costituzione, di cui è garante il Giudice delle leggi» precisa il professor Bertolissi. Le differenze-discriminazioni tra Regioni, sottolinea, «esistono da sempre e ad esse lo Stato non ha saputo, finora, porre rimedio». Per Bertolissi, i timori che hanno ad oggetto la centralità del Parlamento «sono smentiti dalle disamine dei costituzionalisti, i quali, da lungo tempo, vanno dicendo di una centralità del Governo, come è nei fatti». Tra le tante questioni, il costituzionalista veneto cita anche il fatto che «mina l'unità e indivisibilità della Repubblica il criterio della spesa storica, fonte di inefficienze, sperpero di pubblico denaro e di irresponsabilità, cui non si è mai voluto derogare».

«È bene che il Parlamento discuta: di numeri, di cose fatte e non fatte, di risultati, di tutele realizzate e no, dopo aver riscontrato se è ancora vero che esistono 'Regioni di avanguardià, 'Regioni collocate nel mezzò e 'Regioni di retroguardià, alla luce del principio di responsabilità. C'è da chiedersi: perché mai non se ne è parlato in passato - domanda Bertolissi - e si è atteso l'impulso del Veneto?». L'interesse nazionale è messo in pericolo, ancora, «da chi non è stato in grado di svolgere una attività di buon governo e di buona amministrazione».

«Infine, mi pare che la volontà di forzare e far leva sul Presidente della Repubblica, che è autorevolissimo custode della Costituzione e che mai si è espresso sulla materia, appaia come un maldestro e miserevole tentativo - conclude -. È un pò come pensare di avere l'arbitro che gioca con la tua squadra.
Speculare sulla correttezza del Capo dello Stato appare irrituale, soprattutto se a esprimersi sono autorevoli costituzionalisti. Forse pensano che al Quirinale abbiano momenti di distrazione».



L'ALLARME DEI 30 COSTITUZIONALISTI
​È allarme tra i costituzionalisti sull'autonomia regionale. Trenta di loro, tra i quali tre presidenti emeriti della Consulta Francesco Amirante, Francesco Paolo Casavola e Giuseppe Tesauro, hanno rivolto un appello al capo dello Stato e ai presidenti di Camera e Senato , in cui si dicono «fortemente preoccupati per le modalità di attuazione finora seguite nelle intese sul regionalismo differenziato e per il rischio di marginalizzazione del ruolo del Parlamento, luogo di tutela degli interessi nazionali». Esplicita la richiesta alle più alte cariche dello Stato: sia assicurato «il ruolo del Parlamento anche rispetto alle esigenze sottese a uno sviluppo equilibrato e solidale del regionalismo italiano, a garanzia dell'unità del Paese». Intanto il tema continua a creare tensioni nel governo. La ministra leghista Erika Stefani - che domani sarà ascoltata dalla Commissione per le questioni regionali della Camera, mentre il presidente della Conferenza delle regioni Stefano Bonaccini sarà sentito dalla Commissione sul federalismo fiscale - ribadisce che l'autonomia «non è una secessione», né è un intervento «per i ricchi». E garantisce che «non vengono tolti fondi o risorse» alle altre regioni. Ma il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Stefano Buffagni (M5S) tira il freno sulla scuola: «l'autonomia è nel contratto di governo e la si deve fare bene, ma sull'istruzione non si scherza», avverte.

«Voglio evitare - spiega - che i soldi degli italiani finiscano alle scuole private». Quale dovrà essere l'iter parlamentare per l'approvazione delle intese sull'autonomia differenziata di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna resta una questione ancora aperta. La riforma costituzionale del 2001 che ha previsto che alle Regioni possano chiedere l'attribuzione di materie di competenza concorrente o esclusiva dello Stato, non è stata seguita da una legge di attuazione che indicasse come procedere. Due settimane fa in un colloquio chiesto dai presidenti di Camera e Senato il capo dello Stato ha ribadito che la strada da percorrere è il dibattito in Aula. E domenica scorsa Roberto Fico ha assicurato che «il ruolo del Parlamento sarà centrale» spiegando di aver già avviato un confronto con Casellati per scegliere insieme la strada migliore. Strada che prevede innanzitutto, come ha spiegato la presidente del Senato, l'audizione di costituzionalisti «per avere pareri e osservazioni tecniche». Sul punto i 30 costituzionalisti che hanno sottoscritto l'appello, predisposto dal professore Andrea Patroni Griffi, ordinario all'Università della Campania Vanvitelli, non hanno dubbi: «le ulteriori forme di autonomia non possono riguardare la mera volontà espressa in un accordo tra Governo e Regione interessata» perché hanno «conseguenze sul piano della forma di Stato e dell'assetto complessivo del regionalismo italiano». E i parlamentari, come rappresentanti della Nazione, «devono essere chiamati a intervenire, qualora lo riterranno, anche con emendamenti sostanziali che possano incidere sulle intese, in modo da ritrovare un nuovo accordo, prima della definitiva votazione sulla legge».
Ultimo aggiornamento: 19:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci