Tratta di migranti, armi da guerra
e diamanti, fermato il "contabile"

Martedì 3 Luglio 2018 di Cristina Antonutti
Una delle armi che sono state sequestrate
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PORDENONE Armi da guerra, diamanti, lingotti d’oro ottenuti fondendo i monili rubati nelle case e tratta di migranti. La rotta balcanica dei clandestini smantellata dai carabinieri del Nucleo informativo di Palermo attraversa il Friuli e si ferma a Barco di Pravisdomini, in provincia di Pordenone. È nella campagna friulana ai confini con il Veneto che l'altra notte  stato arrestato An Dobjani (alias Luan), 35 anni, albanese, condannato un mese fa dal Tribunale di Pordenone a 7 anni di reclusione per l’estorsione agli ex gestori del night Rififi di Pordenone.  Le accuse della Procura distrettuale antimafia di Palermo sono macigni: associazione per delinquere a carattere transnazionale dedita al traffico di clandestini sulla tratta balcanica, di armi e al riciclaggio di denaro e preziosi. Il decreto di fermo emesso dai pm Giorgia Spiri, Carlo Marzella e Geri Ferrara, guidati dal procuratore aggiunto Marzia Sabella, riguarda 17 persone in tutta Italia e in Kosovo. Si tratta di due associazioni che agivano in modo sinergico: una concentrata sul traffico di clandestini, l’altra sul riciclaggio di denaro illecito. Ma i nomi si intersecano tra i due sodalizi che fanno capo al macedone Fatmir Ljatifi, 46 anni, di Bolognetta (Palermo) e a Giuseppe Giangrosso, 60, barista palermitano. Facevano affari con il gruppo di paramilitari del Nuovo Uck, in Macedonia ritenuti terroristi, e con Cosa Nostra. Si muovevano in un triangolo che da Palermo si unisce a Macedonia e Germania, con una deviazione tutta friulana, che non riguarda soltanto il passaggio obbligato dei clandestini attraverso i valici italosloveni.
A Barco Dobjani era in contatto con Fatmir Ljatifi e trafficava con la tecnologia del sistema Ebics. Attraverso sofisticate procedure finanziarie avrebbe tentato, in concorso con Ljatifi, Giangrosso e altri due indagati di riciclare ingenti liquidità provenienti da Hong Kong. Il denaro sarebbe transitato in conti bancari italiani ed europei per essere “ripulito”. Ebics (Electronic Banking Internet Communication Standard) garantisce infatti uno standard di sicurezza e di comunicazione bancaria europeo che viene utilizzato principalmente per il trasferimento remoto dei dati, ad esempio per le transazioni di pagamento capitali tra un’organizzazione e una banca. «La struttura criminale - hanno spiegato ieri gli uomini del colonnello Antonio Di Stasio - ha tentato di riciclare capitali illeciti con Ebics sfruttando la compiacenza di aziende del Nordest che erano in contatto con Dobjani e grazie alle competenze di Denis Nikci, albanese trapiantato a Colonia, in Germania».
I due clan non riciclavano soltanto denaro. E non trafficavano soltanto in clandestini kosovari che cercavano di raggiungere la Svizzera o la Germania. Trafficavano in armi da guerra destinate alla mafia siciliana. Ljatifi, secondo i Carabinieri, avrebbe venduto bombe a un terrorista dell’Uck ricercato in Macedonia per l’attentato del 2015 a Kumanovo. Riciclavano anche oro: le intercettazioni rimandano le trattative per piazzare 10 chilogrammi di oro fuso in lingotti e in parte ancora composto da monili rubati, custoditi a Sondrio. E poi c’è il capitolo dei diamanti, che coinvolgerebbe secondo gli investigatori anche Dobjani. Ljatifi avrebbe a che fare con una partita del valore di 11 milioni che doveva essere venduta a compratori turchi. Un affare sfumato. A detenere i diamanti era Driton Rexhepi, fratello di Arben Rexhepi, kosovaro che vive in provincia di Sondrio ed è fratello di Arben Rexhepi, durante la guerra dei Balcani membro del sanguinario Gruppo del comandante Teli dell’Uck.
Cristina Antonutti
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Ultimo aggiornamento: 08:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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