Immigrati nei campi, «Se li mandiamo via chi va a lavorare tra le viti per dieci euro al giorno?»

Lunedì 12 Giugno 2023 di C.A.
Immigrati nei campi, «Se li mandiamo via chi va a lavorare tra le viti per dieci euro al giorno?»

In Friuli Venezia Giulia ci sono 16.400 aziende agricole (-26,5% rispetto alle 22.316 del 2020) che lavorano 28.498 ettari di terreni a vigneto.

Gli introiti legati all'uva da vino venduta sono più che raddoppiati. «C'è bisogno di questi lavoratori stranieri - spiega Dina Sovran, segretaria provinciale della Flai Cgil di Pordenone - C'è carenza di manodopera soprattutto in agricoltura, dove gli italiani non vogliono lavorare perché non vogliono essere sfruttati. Tutti cercano immigrati, ma spesso rischia di essere un escamotage per sfruttarli. E se respingiamo gli immigrati, che lavorerà per dieci euro al giorno?».


LA LINGUA
È facile approfittare di chi non conosce l'italiano. La conoscenza della lingua è fondamentale, ma nessuno spinge gli immigrati della rotta Balcanica a seguire corsi di alfabetizzazione. «Alcuni non sanno nemmeno leggere e scrivere - spiega Sovran - perché appartengono alle frange più povere del Pakistan. Anche se scolarizzati tendono a restare nelle loro comunità, dove chi sa l'italiano è il re e c'è una certa gerarchia. Io li spingo ad andare a scuola di italiano perché è il primo passo verso il riscatto. Quando spiego che non li pagano bene si sorprendono, dicono che li pagano e non capiscono le nostre regole». Il contatto con il sindacato è fondamentale, ricevono aiuto per il permesso di soggiorno e vengono scolarizzati dal punto di vista lavorativo (diritti, sicurezza, strumenti di lavoro). «Spesso - osserva la sindacalista - devono comprarsi da soli gli strumenti di lavoro e se qualcuno si fa male, l'infortunio non viene nemmeno registrato». Si tratta di lavoratori che vengono intercettati soltanto se vanno a fare le pratiche per la disoccupazione agricola. «Il 80% di coloro che fanno richiesta di disoccupazione agricola sono stranieri e di questi, un buon 60%, sono pakistani e indiani. Noi cerchiamo la collaborazione della Guardia di finanza perché ha mezzi e strumenti per emergere queste situazioni».


IL LAVORO
Tuttavia molti immigrati della rotta Balcanica spesso hanno frequentato anche l'università. «Vogliono lavorare nelle fabbriche - continua Sovran -, ma è sempre una questione di permessi di soggiorno, fondamentali per avere un lavoro, poter conseguire la patente di guida, comprare un'auto e non dipendere da un caporale. Questo è il riscatto. Abbiamo ragazzi che abitano a Pordenone e hanno trovato lavoro a Prata: non hanno il titolo di soggiorno e quindi nemmeno la patente, per questo vanno a lavorare in bicicletta o con il monopattino». E continua: «È vero, arrivano con la maglietta firmata, ma sono quelle che buttiamo via noi. I luoghi comuni ci indicano altro, bisognerebbe imparare ad ascoltare queste persone, chiedere il motivo per cui hanno lasciato il loro Paese per capire se sono vittime della tratta di essere umani. Loro dicono di no, che sono partiti perché vivevano in condizioni al limite della sopravvivenza. Altri preferiscono non dire, poi li guardi e capisci che hanno un orientamento sessuale diverso, che nel loro Paese significa rischiare di essere uccisi. E allora dici speriamo che qua tu possa trovar accoglienza. Loro rischiano tutto per un'alternativa, si mettono in cammino a 16 anni, i nostri ragazzi non vanno neanche a scuola a piedi. Loro non fanno cose diverse dai nostri nonni, solo che non vogliano ricordarci del nostro passato. Se li mandiamo via, ci sarà un problema di sostenibilità: chi raccoglie pomodori a 3 euro al giorno? Chi va tra le viti per 10 euro?». L'integrazione? «Va bene - conclude - ma bisogna anche interagire. È un percorso lungo, forse serviranno generazioni».

Ultimo aggiornamento: 10:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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