Il trader Gaiatto e i rapporti con i Casalesi: tutti i dubbi del tribunale

Martedì 19 Febbraio 2019 di Cristina Antonutti
Fabio Gaiatto

C'è davvero il clan dei Casalesi dietro le estorsioni croate che lo scorso dicembre hanno determinato un'ulteriore misura cautelare in carcere per il trader portogruarese Fabio Gaiatto? O il nome dell'organizzazione camorristica è stato usato soltanto per rafforzare le intimidazioni agli ex collaboratori della Venice Investment Group? Il dubbio lo insinua, nero su bianco, il Tribunale del Riesame di Trieste, che ieri ha depositato le motivazioni dell'ordinanza con cui, a metà gennaio, ha confermato le misure cautelari in carcere per Gaiatto e il coindagato Francesco Salvatore Iozzino, residente a Resana (Treviso), gli unici che si era appellati ai giudici della libertà. Il Riesame aveva annullato l'accusa riferita al tentativo di estorsione collocato tra il 25 maggio e 11 giugno, il cosiddetto Piano B escogitato per recuperare 10 milioni di euro (di cui Iozzino non faceva parte). Aveva poi confermato l'aggravante delle minacce con metodo mafioso, ma non aveva riconosciuto quelle della transnazionalità delle estorsioni e dell'averle commesse per agevolare un'organizzazione criminale. Secondo i giudici, la vicenda merita ulteriori approfondimenti. Sono state evidenziate discrepanze tra le dichiarazioni rese dalle vittime (la commercialista di Pola  e collaboratori della Venice) prima alla Guardia di finanza di Portogruaro sulla truffa del forex e successivamente alla Dia di Trieste. Ed è stato evidenziato che le indagini non hanno provato che Gaiatto e i coindagati avessero agito per conto del clan dei Casalesi. Gli elementi non sarebbero «sufficienti» a dimostrare che i 10 milioni appartenevano effettivamente all'organizzazione. Insomma, al momento non ci sarebbero elementi tali da poter dimostrare con certezza che gli estorsori agivano per conto dei Casalesi e che la somma fosse riconducibile al clan piuttosto che a singoli appartenenti all'organizzazione camorristica.
LE DIFESESe su questo piano i sospetti dovranno essere approfonditi, la ricostruzione della Procura di Trieste, in ordine alle intimidazioni in stile mafioso, resta tuttavia intatta. Il gruppo era andato negli uffici di Pola numeroso, organizzato e gerarchizzato. «Le accuse sono state ridimensionate, adesso va fatta chiarezza», afferma l'avvocato Guido Galletti, difensore di Gaiatto. Il legale di Iozzino, il ferrarese Massimo Bissi, non è affatto soddisfatto. «Qualcosa è stato accolto, ma non è stata fatta giustizia - osserva - Non è chiaro quello che è successo, ci sono molte incongruenze e la vicenda merita un approfondimento, soprattutto sul rapporto con le parti offese in Croazia».
VITTIMA INDAGATAIl riferimento alle vittime dell'estorsione non è casuale. Una delle persone minacciate - costretta a cedere a favore di Gaiatto auto di lusso (una Range Rover Sport e una Porsche Cayenne) e a rinunciare a crediti per 3,4 milioni - un mese fa è rimasta coinvolta in un'inchiesta della Procura di Catania su una frode fiscale da 10 milioni di euro attraverso un complesso meccanismo di cui facevano parte esperti contabili, commercialisti e broker molto abili a delocalizzare all'estero imprese in crisi e a trasferirne il patrimonio. Catania, Londra e Croazia era il triangolo. La vittima delle estorsioni a Pola, finchè non ha interrotto i rapporti con l'ideatore delle operazioni societarie, sarebbe stato il referente per le delle società da far rinascere in Croazia.

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Ultimo aggiornamento: 12:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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