Alberto e Aldo, i due marinai veneti a bordo del sommergibile ritrovato dopo 101 anni

Sabato 4 Agosto 2018 di Maria Elena Pattaro
Alberto e Aldo, i due marinai veneti a bordo del sommergibile ritrovato dopo 101 anni
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PADOVA - A bordo di quel sommergibile, speronato da una nave amica 101 anni fa e di cui nei giorni scorsi la Marina ha trovato finalmente il relitto al largo dell'isola di Capraia, c'era anche Alberto Lazzarini, primogenito di un'importante famiglia di Este. Tra i quattordici membri dell'equipaggio del Guglielmotti inghiottiti dagli abissi il 10 marzo del 1917, altri due marinai, oltre all'atestino classe 1889, provenivano dalla capitaneria di porto di Venezia: il torpediniere Aldo Benetello, originario di Vigonza (Padova) e il capitano di vascello Leopoldo Alboni, nato invece a Roma. La storia di Alberto, riemersa in questi giorni grazie al ritrovamento del relitto del sommergibile in cui si era imbarcato durante la Prima Guerra Mondiale, inizia nel cuore di Este e finisce tragicamente nei fondali del Mar Tirreno.

 
IL RITROVAMENTOUna vicenda di cui il tempo sembrava aver cancellato la memoria, invece nei giorni scorsi alcuni abitanti di Este, leggendo la notizia del ritrovamento del relitto, si sono ricordati - parlandone nei social - che tra quelle lamiere aveva trovato la morte un loro concittadino, membro di una famiglia illustre di cui il professore Francesco Selmin ha ripercorso le tracce in alcuni libri di storia locale, come Storia di Este e il saggio Una famiglia nella Grande Guerra. Alberto, primogenito del professore Ugo Lazzarini, da ragazzo aveva abbandonato Este per frequentare la scuola navale di La Spezia, in Liguria, coronando così il sogno di entrare a far parte della Marina come Secondo capo torpediniere. Il primo passo di una promettente carriera militare, stroncata però da un tragico malinteso: il dragamine britannico Cyclamen responsabile dello speronamento del Guglielmotti aveva scambiato il sommergibile italiano per un sottomarino tedesco.
LO SBAGLIO FATALEInvece stava scortando il piroscafo Cirenaica, dopo aver ricevuto l'ordine di raggiungere Brindisi per operare nell'Adriatico meridionale con la Seconda Flottiglia. I britannici si accorsero dell'errore quando ormai era troppo tardi: prima attaccato dall'artiglieria amica e poi speronato, il sommergibile italiano affondò, inghiottito dalle profondità marine. Impossibile recuperare le salme dell'equipaggio, mentre il relitto del sommergibile, inabissato a più di 400 metri di profondità, ha dovuto aspettare ben 101 anni prima di essere ritrovato. Ad accorgersi dei resti è stato nei giorni scorsi il cacciamine Gaeta, la cui scoperta è stata poi confermata dalla nave Rimini, grazie all'incrocio di dati tra il luogo dell'affondamento, i dettagli costruttivi del sommergibile e le foto scattate con la moderna attrezzatura in dotazione alle navi militari.
LO STRAZIO«A fine ottobre del 1917 arrivarono a Este le poche cose che Alberto aveva lasciato a La Spezia prima di imbarcarsi racconta il professor Francesco Selmin, profondo conoscitore delle vicende dei Lazzarini, di cui ha ricevuto l'archivio di famiglia alla morte dell'ultima figlia, Maria Antonietta il padre Ugo, che era professore di materie letterarie al ginnasio comunale, nel suo diario racconta con angoscia il giorno in cui ha raggiunto il municipio per ritirare gli effetti personali del figlio. Un sacco e una cassa caricati su un carrettino preso in prestito da un falegname del posto e trainato da un operaio. Il dolore per la perdita del suo primogenito era talmente forte da fargli pensare che di lì a poco anche lui sarebbe morto, cosa che accadde tre anni dopo».
LE LETTEREDi Alberto, però, sono rimaste anche le lettere che inviava alla famiglia, composta dai genitori e da altri quattro fratelli, due maschi e due femmine. Dalle missive traspare tutta la devozione con cui il giovane aveva deciso di servire la patria, convinto che il bagno di sangue avrebbe rigenerato lo Stivale. In una lettera datata 2 giugno 1915 indirizzata alla madre, si legge: «Che l'Italia risorga da questo orizzonte insanguinato». Consapevole del pericolo e del sacrificio di vite che la guerra richiede, Alberto non poteva però immaginare che sarebbe morto a soli 28 anni per errore. Per onorarne la memoria, negli anni Venti Este gli dedicò un'aula del ginnasio in cui insegnava il padre, che oltre ad essere un professore molto stimato in città era anche un esponente di rilievo del socialismo. In più di un'occasione aveva scritto per il periodico Critica sociale diretto da Filippo Turati. La sorella Maria Antonietta, morta nel 1985, come ultima volontà chiese invece che il suo corpo fosse avvolto in un drappo rosso un tempo appartenuto al fratello, uno dei pochi cimeli sopravvissuti al tragico destino del giovane marinaio.
Ultimo aggiornamento: 6 Agosto, 10:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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