La Procura voleva che il tabaccaio risarcisse la famiglia del ladro ucciso

Martedì 3 Luglio 2018 di Angela Pederiva
Franco Birolo
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La procura generale presso la Cassazione, che rappresenta la pubblica accusa nei procedimenti davanti alla Suprema Corte, avrebbe voluto che il tabaccaio assolto per legittima difesa putativa indennizzasse comunque la famiglia del ladro ucciso. Il retroscena emerge, nero su bianco, dalle motivazioni della sentenza con cui è stato dichiarato «inammissibile» il ricorso della parte civile contro il verdetto di Appello. Un esito che, secondo gli ermellini, è stato invece corretto in quanto basato su «puntuali argomentazioni» e «elementi di prova logicamente valutati»: anche se Igor Ursu morì a causa della pallottola esplosa da Franco Birolo, nella notte tra il 25 e il 26 aprile 2012 a Civè di Correzzola, sua sorella Angela e sua madre Lidia non possono chiedere i danni all'esercente.
 



 
LO SCONTRO
Sulla richiesta delle due donne, e in particolare della più giovane, è stato scontro fino all'ultimo. Assistita dall'avvocato Guido Cardinali, la 40enne Angela aveva presentato ricorso ai soli effetti civili, affermando il proprio interesse all'annullamento della sentenza di assoluzione in quanto, al di là della formula utilizzata nel dispositivo («il fatto non costituisce reato»), la motivazione si fondava sul riconoscimento dell'esercizio della legittima difesa, sia pure nella forma putativa, cioè quella per cui lo sparatore percepisce una situazione di pericolo che in realtà non sussiste dal punto di vista oggettivo. Secondo questa tesi, pur non avendo diritto al risarcimento vero e proprio, le parenti della vittima Ursu avrebbero comunque meritato l'indennizzo previsto dalla legge «quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri». Richiesta contestata dall'avvocato Luigino Maria Martellato, difensore di Birolo, ma non dal sostituto procuratore generale Roberto Aniello, «che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile di appello», malgrado proprio a Venezia l'allora sostituto procuratore generale Paolo Luca avesse chiesto (e poi ottenuto) l'assoluzione del tabaccaio padovano.

LE MOTIVAZIONI
Per la Cassazione, invece, «va rilevata la manifesta infondatezza» delle doglianze della parte civile, poiché «mirano a sollecitare una rivalutazione del giudizio di fatto che ha indotto la Corte al riconoscimento della legittima difesa putativa, che in quanto tale è insindacabile in sede di legittimità». Secondo gli ermellini, inoltre, il collegio di Appello «ha valutato, con motivazione ampia e ben strutturata tutte le circostanze di fatto, statiche e dinamiche, oggettive e soggettive, in relazione al momento della reazione e al contesto spazio-temporale, dando rilievo al complesso delle risultanze probatorie ed ha apprezzato e ritenuto scusabile, con giudizio logico e coerente, perciò in insindacabile, l'errore di valutazione del Birolo circa la sussistenza dei presupposti di fatto, di proporzione e necessità di difesa, che rappresentano gli elementi costitutivi della legittima difesa».

IL COLPO
In questo senso è stato ritenuto corretto il giudizio dei magistrati lagunari sul comportamento del tabaccaio, oggi 52enne, nei concitati istanti in cui venne svegliato dal fragore dell'assalto al negozio situato sotto alla sua abitazione. «La Corte nella ricostruzione, coadiuvata dai dati certi delle indagini tecniche argomenta la Cassazione esclude che l'Ursu abbia posto in essere comportamenti di aggressione reale fisica nei confronti del Birolo; ma ritiene che la situazione di penombra, il forte rumore, lo stress emotivo, la rapida successione dei movimenti all'interno della tabaccheria dei tre complici, che avevano divelto il registratore di cassa e tre mensole contenente la merce, possono aver indotto ragionevolmente e in maniera scusabile in errore il Birolo circa le effettive intenzioni di Ursu, e la situazione erroneamente percepita come di imminente aggressione per sé o i suoi familiari, nel momento in cui, in uno stato di forte concitazione, ha fatto partire il colpo».
A fronte dell'inammissibilità del ricorso, la famiglia Ursu dovrà pagare le spese processuali, oltre a duemila euro a favore della cassa delle ammende.

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