Grande Guerra, dopo 100 anni spunta una cartolina inviata dal fronte

Lunedì 22 Ottobre 2018 di Nicola Munaro
Iginio Dieni
1
PADOVA A lui, Igino Sgobbi, bersagliere, classe ’99, milleottocentonovantanove, chiamato alla Grande Guerra dopo la disfatta di Caporetto, quella cartolina trovata per caso al fronte, ricordava tanto l’immagine di sua sorella Giuseppina, annegata troppo giovane in una tinozza di acqua bollente nella corte di casa, a Cavarzere. L’aveva attirato un particolare: la bambina sulla cartolina, a cavallo di una bandiera italiana e con in testa un elmetto da bersagliere (guarda caso) aveva all’orecchio un orologio.
 
Ne ascoltava il tic-tac. Come faceva sempre sua sorella. E così Igino aveva inserito quell’immagine in una delle tante lettere mandate alla madre Rosa. “Guarda, mamma, è mia sorella Giuseppina”, aveva scritto dal fronte nell’inverno del 1917. Da lì, non sarebbe più tornato. Morto a guerra finita per la febbre Spagnola, dicono le cronache ufficiali. Ucciso – questa la vulgata popolare – da un cecchino austriaco a Trieste, quando ormai l’armistizio era stato firmato, Igino è sepolto a Redipuglia, nel Sacrario militare in provincia di Gorizia. Ma quella cartolina non si è persa dopo la sua morte, anzi. Ha viaggiato nel tempo di mano in mano, per cento anni. E ora è pronta a finire al museo della Terza Armata di via Altinate, come documento romantico di una guerra che catapultò il mondo nel Novecento. “Ce l’ho sempre avuta in casa, per me questa è l’immagine di mia zia Giuseppina. So che non è lei, ma io quando la vedo dico che è mia zia”, racconta Iginio Dieni, 86 anni, professore universitario in pensione e primo docente di Paleontologia all’Università di Padova. È lui l’ultimo custode della cartolina-fotografia, passata da sua nonna Rosa a sua mamma Gioconda Zita e da lei a lui. “Mamma era sorella di zia Giuseppina e di zio Igino, di cui porto il nome – spiega adesso il professore – Il fatto che ci ha sempre legati a questa cartolina è la particolarità della foto. La bimba rappresentata è bionda, com’era zia Giuseppina, indossa un elmetto da bersagliere, come suo fratello Igino, e ascolta il movimento dell’orologio: quello, mi ha raccontato mia mamma, era il passatempo preferito di mia zia. Quando mio zio l’ha vista al fronte, ha pensato subito a lei, morta alcuni anni prima in maniera tragica nel cortile di casa. Era un messaggio e un ricordo spedito a sua mamma, nel mezzo di una lettera”. Missive in cui il bersagliere Igino non parlava mai della guerra. Chiedeva piuttosto come procedesse il lavoro nei campi, il racconto. Della sua condizione di soldato, poche righe. Nelle lettere, invece, solo i pensieri e i ricordi della famiglia, scritti da un adolescente diventato uomo con un fucile in mano per risollevare le sorti di una guerra che vedeva l’Italia di fronte al proprio baratro. E che grazie al sacrificio di ragazzi poco più che diciottenni, all’epoca nemmeno maggiorenni, ha invece cambiato il corso dell’intera nazione. “Ho saputo questa storia da mia mamma, ma solo pochi anni fa sono venuto a conoscenza del nome di mia zia – chiosa il professore – Ora, nell’anno in cui si celebra il centenario della fine della Grande Guerra, è arrivato il tempo di consegnare questa cartolina, che per noi è sempre stata una fotografia, alla storia. In modo che tutti la possano vedere. La voglio donare al museo della Terza Armata come documento della Grande Guerra, perché non vada persa. Perché resti questa documentazione del senso di patria che una volta si aveva e che adesso non c’è più. Per me è sempre stata la foto di mia zia. L’ho sempre considerata una fotografia della zia Giuseppina”. Perché così aveva scritto in una lettera un giovane soldato. Anche, e soprattutto, per dare speranza ad una madre lontana. Che lui non rivedrà più.
Nicola Munaro
Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 12:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci