Cambio sesso, i pazienti del team padovano passati da 38 a 200 in due anni

Martedì 21 Marzo 2023 di Elisa Fais
Il team interdisciplinare incongruenze di genere (Giig)

PADOVA - Scatta il conto alla rovescia per l'avvio del Centro di riferimento regionale per i disturbi dell'identità di genere all'Azienda Ospedale Università di Padova. Se ne parla da 30 anni, ma ora il progetto esecutivo è pronto ed entro venerdì sarà presentato a palazzo Balbi. Ieri all'ospedale universitario patavino si è svolto l'ultimo tavolo tecnico del Gruppo interdisciplinare incongruenze di genere (Giig), la squadra di specialisti che rappresenta l'ossatura del futuro centro.
Mentre il mondo della sanità corre per raggiungere l'obiettivo, giungono rassicurazioni dalla politica. Ieri il presidente del Veneto Luca Zaia è intervenuto sulla presunta disapprovazione di Matteo Salvini: «Non mi risulta di essere stato criticato. Io faccio l'amministratore e devo portare avanti tutto quel che prevede la legge». E, sui volantini affissi da parte di CasaPound, Zaia ha ribadito che «io rispetto le idee di tutti. Per quanto riguarda l'operazione che ha fatto la Regione, noi diamo le garanzie ai cittadini di trattarli tutti alla stessa maniera. È un obbligo di legge, un livello essenziale dell'assistenza, punto. Se non avessi fatto così non avrei chiuso con il Covid, non sarei stato il primo a fare alcune scelte come la prima zona rossa a Vò. Quando amministri hai questi obblighi».
La delibera sull'individuazione del centro è stata approvata all'unanimità dalla giunta Zaia lo scorso 7 marzo, ma il tema non è nuovo per l'Unità operativa di Andrologia e Medicina della riproduzione di Padova. «Il Centro sarà realizzato nella struttura di via Modena, che già ospita Medicina della riproduzione - precisa il direttore generale del policlinico, Giuseppe Dal Ben -.

Il gruppo di lavoro non nasce dal nulla, da anni una trentina di specialisti coordinati dal professor Andrea Garolla seguono persone da tutt'Italia».

IL BILANCIO
Intanto la richiesta di assistenza da parte di transgender è in continua crescita. Ad oggi sono duecento le persone seguite dall'equipe padovana, la cui identità di genere non corrisponde al sesso assegnato loro alla nascita. «Dal 2021 il carico di lavoro è cambiato perché abbiamo ricevuto l'autorizzazione alla prescrizione di terapie ormonali sostitutive, così coloro che scelgono di assumere questi farmaci non li pagano - spiega il professor Garolla -. Infatti siamo passati da 38 a 200 pazienti in poco tempo. Le persone arrivano da tutt'Italia. Il più giovane ha 16 anni, ma non c'è un'età per raggiugere un certo grado di consapevolezza. Ad esempio ci ha chiesto aiuto un uomo di 65 anni, precedentemente sposato e con figli, che per ruolo sociale non aveva affrontato prima il cambio di identità».

IL PERCORSO
Il Giig comprende andrologi, ginecologi, urologi, endocrinologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, psicologi, chirurghi, internisti, otorinolaringoiatri e nutrizionisti. «Solo mettendo assieme più professionalità possiamo garantire a queste persone la possibilità di transitare in maniera adeguata e completa - prosegue Garolla -. Noi cerchiamo anche di essere un punto di ascolto, oltre che un ambulatorio di tipo clinico e medico. Spesso ci sono storie di sofferenza ed emarginazione».
Il percorso di affermazione di genere non è obbligatorio e l'iter non è lo stesso per tutte le persone. «Il primo step è la diagnosi di disforia di genere da parte di un neuropsichiatra infantile nel caso di minori o di uno psichiatra o psicologo per gli adulti - precisa Garolla -. Il paziente viene preso in carico e si sottopone a una serie di esami per fotografare il suo stato di salute. Non manca, poi, l'attenzione alla preservazione della fertilità. Durante la terapia ormonale sostitutiva sono previsti controlli a sei mesi e se non ci sono problemi, dopo un anno, i maggiorenni possono affrontare l'iter legale».
In Azienda ospedaliera attualmente vengono effettuate le chirurgie demolitive ma non le ricostruttive, per trovare competenze adeguate bisogna andare nei centri specializzati e in Italia sono pochissimi con attese di almeno 5 anni. L'alternativa è il privato ma, ad esempio, una vaginoplastica può arrivare a costare 30mila euro. «Se si vuole creare un percorso di chirurgia e ricerca in questo campo, la nascita del centro di riferimento è fondamentale», conclude Garolla.
 

Ultimo aggiornamento: 08:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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