L'uomo e il cervo, un biberon per il cerbiatto salvato nel bosco

Giovedì 21 Dicembre 2017 di Alessandro De Bon
L'uomo e il cervo, un biberon per il cerbiatto salvato nel bosco
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Questa non è una favola di Natale. Ci sono un bambi, un villaggio con le casette a punta colorate, un bosco e un uomo con la barba che quel bambi lo cresce fino a vederlo diventare cervo. Ma questa non è una favola di Natale. È una storia della natura, quella di Christopher, il cervo, e quella di Gianluca, l'uomo. Che, per due anni, hanno vissuto scambiandosela quella natura: Gianluca il cervo e Christopher l'uomo. Il meno possibile però, altrimenti addio futuro. La storia inizia all'alba del giugno 2015 nell'ex Villaggio Eni voluto da Enrico Mattei e costruito da Edoardo Gellner a Borca di Cadore tra il 1953 e il 1964. Dopo decenni di abbandono quei triangoli colorati sparsi nel bosco, quell'architettura illuminata e arroccata sulle Dolomiti sono diventate teatro del Progettoborca, costola di Dolomiti Contemporanee, il progetto che rigenera luoghi e spazi attraverso l'arte contemporanea ideato da Gianluca D'Incà Levis. Proprio lui, Gianluca, l'uomo. Che i primi giorni di quel giugno 2015 sotto casa, a pochi metri da una di quelle villette del villaggio dove ha deciso di vivere, vede muoversi il prato. Scendendo trova lui, il bambi.

L'INCONTRO - «Devo andarmene» ha pensato subito sapendo che i cuccioli vanno lasciati stare per evitare il rifiuto della madre. Ma in quel bambi, in quei pochi chili di ossa leggere, mantello a pois e biglie nere, qualcosa non andava. «Mancavano gli atteggiamenti della protezione - racconta Gianluca - la pronazione, il silenzio conoscevo la madre, ma sentivo che non sarebbe tornata. Ho passato ore al telefono con la Polizia provinciale, forestale e cacciatori; tutti mi consigliavano di non fare nulla: lascia che la natura faccia il suo corso. Ma in quello stesso punto, da mesi, tutte le sere davo da mangiare a una volpe; se lo avessi lasciato lì quella sera stessa la volpe facilmente non mi avrebbe chiesto la cena. Ho deciso di affrontare quella situazione come affronto la vita, come ho affrontato il progetto Dolomiti Contemporanee: rompendo gli stereotipi, ri-processando ciò che incontro.
 

 

E così ho fatto. Fino a prova contraria anche io ero natura. Non sarebbe stato il mio cervo, non iniziava un capitolo Disney della mia esistenza, non si era innescata una dinamica emotiva, ma razionale, con il progetto di farla diventare il prima possibile scientifica. Era e doveva restare un cervo, da accompagnare al suo futuro selvatico. Io stavo semplicemente estendendo la mia curatela artistica, che altro non è se non prendersi delle responsabilità nei confronti di una realtà. Quella mattina di giugno la realtà era lui e io le ho dato valore, prendendomene cura». Dopo un paio di giorni di rifiuto ecco il primo biberon accettato dalle mani (mani?) di quella sua stramba madre bipede e cangiante. È il 7 giugno, muore Christopher Lee. «Per come divorò quel primo bibo pensai di chiamarlo Dracula, ma mi sembrava eccessivo. Quando lessi che era morto Lee (uno dei più grandi Dracula della storia del cinema, ndr), decisi per Christopher».

Un cerbiatto però non è un bimbo, non è un cucciolo di cane, non è un vitello. È un cerbiatto che deve diventare cervo. «Iniziò in quel momento una lunga fase di accumulo di nozioni sul cervo. Contattai un veterinario biologo in Nuova Zelanda che stava svolgendo uno studio sul latte di cerva e con lui studiammo la dieta ideale. Poi gli insegnai a brucare». Proprio così. Passando per i boschi dell'ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, tra le architetture colorate di Edoardo Gellner, nel giugno 2015 avreste potuto incontrare un uomo nudo che brucava. «Doveva imparare la ruminazione latero-laterale e gliel'ho mostrata, carponi sul prato». E se cervo Christopher lo diventerà davvero? Due, trecento chili cornuti abituati all'uomo possono innescare un pericolo per quell'uomo stesso. «Christopher non doveva abituarsi all'uomo, doveva diventare avvezzo a me, che lo stavo crescendo, per l'appunto svezzando. Duecento chili di cervo nel periodo degli amori possono diventare molto pericolosi se leggono l'essere umano come rivale. La strada che avevo intrapreso mi presentava due rischi: crescerlo stupido o pericoloso. Io volevo svezzarlo e liberarlo attraverso un imprinting il più leggero possibile, un imprinting parziale. Pensai che avevo il 3% di possibilità di riuscirci, più o meno le stesse che mi diedero quando iniziai a progettare Dolomiti Contemporanee; dunque ero sulla buona strada. Il primo anno passai più volte per matto e litigai con davvero tante persone. Volevano vederlo, conoscerlo, ma lì non c'era nessun Bambi da vedere, c'era un cervo che doveva continuare a temere gli esseri umani. Io, per lui, non lo ero più. Chiesi agli artisti in residenza di lasciare la villetta di fianco alla mia e alloggiare nel campeggio, più in basso, e a chi arrivava per vedere il cervo dedicavo 30 di cortesia. Poi, se non erano bastati per farglielo capire, li cacciavo».
LA TRASFORMAZIONE
I pois spariscono, il manto soffice si fa setola ispida, i quattro stecchi zampe muscolose. «Dove lasciarlo? Lo avessi lasciato a Cortina mi avrebbe ritrovato nel giro di pochi giorni, dovevo spostarlo. Ho girato il centro e nord-Italia, l'Engadina in Svizzera, l'Austria; dovevo trovare il posto ideale. E l'ho trovato». Un posto forse lontano, che Gianluca non svela. Un cervo d'altronde non lo si va a trovare. Tuttalpiù lo si cerca, ben che vada lo si incontra. «Io sono tornato, l'ho trovato, ci siamo riconosciuti. Vive in un branco di duecento cervi. L'inserimento è stato problematico, il branco titubava. Era un cervo, sì, ma quel qualcosa in più, i due anni con me, disturbava soprattutto le femmine, che lo presero a zoccolate a difesa dei piccoli».
DA CERBIATTO A CERVO
Ora non era più il bambi a dover diventare un cervo, ma Christopher, quel nome, a diventare bramito. Uno di duecento. «Adesso lo hanno accolto e quel suo essere particolare, che poteva essere troppo condannandolo a morte perché letto come minaccia per il branco, ora potrebbe invece essere abbastanza per eleggerlo a leader». Ma questa è e sarà la storia di un cervo. Uno di duecento. E l'altra, quella di prima, su cui ci sono già case editrici e registi, non è la favola di Natale. Non è la storia di un cervo cresciuto da un essere umano. «È la storia di e tra due esseri viventi».
 

Ultimo aggiornamento: 22 Dicembre, 11:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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