Scomparso sul nevegal. «L'ho incontrato nel bosco: quel "buongiorno" che non dimentico»

Sabato 12 Gennaio 2019 di Giovanni Longhi
Lo scomparso Riccardo Tacconi. L'uomo ha fatto perdere le tracce venerdì 4 gennaio sul Nevegal
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 Il primo tratto della strada che dal piazzale del Nevegal porta alle Ronce, via Col de Gou, è asfaltato e in discesa. Poi disegna un tornante nel quale si innesta via Malvan: in quel punto diventa bianca e dopo sei chilometri porta all’agriturismo delle Ronce. La mattina di venerdì 4 gennaio (LA SCOMPARSA DI RICCARDO TACCONI - LEGGI) poco dopo le 10.15 ho percorso in auto il tratto di strada asfaltato per poi immettermi proprio in via Malvan, come faccio quasi ogni mattina per andare a correre. Sempre in auto ho percorso il tratto in costa di via Malvan fino a uno slargo prima della discesa che poi sbocca a Cirvoi; ho parcheggiato, sono sceso dall’auto, ho infilato guanti e berrettino per proteggermi dai meno 5 che il termometro in macchina segnava, ho guardato l’orologio (erano le 10.23) è ho cominciato a sgambettare in senso contrario a quello appena percorso in auto. C’era un bel sole già alto sulla cresta limpida del Nevegal e dopo qualche minuto  ho attraversato il tornante di via Col de Gou dove l’asfalto lascia il posto allo sterrato. Lì, la strada torna in ombra, 
entrando nel bosco che la tempesta di fine ottobre ha stravolto con la furia di una mano gigantesca. Continuo a correre mentre dalla bocca mi esce la nuvoletta di fiato condensato. Sento i miei passi ritmati dal respiro, mi riempio i polmoni di quell’aria rarefatta e gelida. Esco dal bosco dopo un altro chilometro abbondante: qui la strada si fa in leggera discesa, mi lascio sulla destra un paio di piccole casere ristrutturate con pietra a vista; sono il mio riferimento perchè so che poco dopo arriva il punto in cui inverto la direzione e torno verso la macchina. Anche venerdì arrivo al grosso albero risparmiato dalla furia del vento che segna il punto esatto di inversione. Lo tocco con il palmo aperto e controllo l’ora per essere certo di rientrare nella tabella. Sono le 10.37. Torno sui miei passi, ritrovo ‘sta volta alla mia sinistra le due case di prima; rallento perchè ora devo affrontare la leggera pendenza che prima era discesa, arrivo nel punto in cui la strada si rituffa nel bosco disegnando una leggera curva a destra per me che risalgo.

Sono trascorsi 8, forse dieci minuti dal punto in cui ho invertito la direzione. Da dietro la curva si profila un uomo che corre, in quel momento ci separano una decina di metri: lui scende, io salgo, corriamo tutti e due, il suo passo è leggero, veloce, sciolto, di uno allenato o che ha cominciato a correre da poco. Quando ci incrociamo lui per primo mi saluta con un “buongiorno” che poi mi rimbomberà nella testa per molti giorni ancora. Ricambio il saluto e continuo la mia corsa che termino poco prima delle 11 alla macchina in via Malvan. Poteva essere una normale giornata di lavoro, uguale a molte che l’avevano precedeuta: la corsa al mattino per inseguire la forma, quella al pomeriggio in redazione ad inseguire le notizie seduto davanti al pc. 
LA NOTIZIA
Quel pomeriggio invece verso le 16 arriva una mail al giornale inviata dal Soccorso alpino in cui si informa della ricerca di un runner; poche righe stringate senza nessun dettaglio se non il luogo della ricerca: il Nevegal. «Che caso, commento con la mia collega che si occupa di cronaca nera, proprio stamattina ho incrociato un signore che mi ha salutato e che era vestito con pantaloni tecnici aderenti neri e un pile rosso con il cappellino e portava gli occhiali da vista». Dentro di me penso che forse l’uomo che stanno cercando correva da qualche altra parte e che quello che ho incontrato io era un altro. La svolta arriva alle 19 quando un secondo comunicato del Soccorso alpino spiega alcuni particolari che potrebbero aiutare a mettere i volontari sulle tracce del ricercato: “Indossava pantaloni neri -leggo con il cuore in gola- e un pile rosso e portava gli occhiali”.
L’ALLARME
Era lui.

Mi metto subito in contatto con il Soccorso alpino, tornando a casa, mi fermo al centro operativo allestito alle Casere, entro nel furgone dei Vigili del fuoco adibito a centrale logistica, indico sulla cartina il punto esatto nel quale ci siamo incrociati. Lascio il mio numero di telefono e l’indirizzo. Saluto con un filo di voce, esco dal caldo del furgone nel gelo della notte del Nevegal mentre quel “buongiorno” mi riecheggia nelle orecchie come un mantra lontano.

Ultimo aggiornamento: 09:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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