Rifiuti, parla De Raho: «Raggiri
e corruzione, i clan lucrano ancora»

Venerdì 23 Febbraio 2018 di Daniela De Crescenzo
Rifiuti, parla De Raho: «Raggiri e corruzione, i clan lucrano ancora»

«L'agente che opera sotto copertura è previsto dal nostro codice. Il giornalista che entra in un contesto criminale per svelarne le malefatte va protetto. L'utilizzo di un malavitoso, per gli stessi fini, invece, può diventare dannoso per il lavoro delle procure. Non ho dubbi, però, che la camorra continui a operare nel settore dei rifiuti e che la corruzione sia uno dei suoi strumenti»: il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho chiarisce la sua posizione sull'inchiesta di Fanpage e su quello che i video hanno svelato.

In un'intervista lei ha condannato il cosiddetto metodo Fanpage. L'utilizzo di un agente provocatore è dunque illecito?
«Bisogna fare attenzione. Nel corso della trasmissione Radio anch'io, intervistato su questo punto, non ho parlato di azione fraudolenta, ma di modalità che determina un contesto fraudolento, ed è cosa ben diversa. Non ho parlato, poi, di merito, ma di metodo. L'agente provocatore in senso proprio è figura del nostro codice di procedura nel cui ambito si parla più propriamente di infiltrato o di agente sotto copertura, vale a dire di un appartenente alle forze dell'ordine che entra in un contesto criminale per accertarlo e individuare gli autori dei reati. Tanto premesso, le mie affermazioni intendevano esclusivamente evidenziare come alcune figure appartengono propriamente al settore delle indagini penali, senza naturalmente voler né censurare né giudicare le inchieste giornalistiche, avendo da sempre rispettato la libertà di stampa e, anzi, avendo io stesso sostenuto e garantito alcune inchieste giornalistiche che si sviluppavano nei contesti criminali della Calabria».

In che modo?
«Sollecitando la protezione personale dei giornalisti che operavano con reportage che li portavano a entrare in diretto contatto con uomini della Ndrangheta o in contesti ndranghetisti. Nel caso di Fanpage, però, è stato utilizzato un collaboratore di giustizia, il che determina un inquinamento della fonte e del contesto in cui le procure devono agire. Utilizzare il collaboratore di giustizia può interferire nelle attività delle procure che devono svolgere indagini ed esercitare l'azione penale».

La malavita continua a lavorare nel settore rifiuti?
«La criminalità organizzata, e soprattutto quella campana, non ha certo perso dall'oggi al domani uno dei settori più lucrosi. Basti pensare che i casalesi hanno sostenuto di non aver puntato sulla droga, perché i rifiuti producevano maggiori ricchezze. Quindi è facilmente ipotizzabile che continuino ad operare, magari con sistemi più sofisticati. Pensiamo, ad esempio, alla possibile organizzazione di ditte malavitose capaci di nascondere i rifiuti tossici mischiandoli agli urbani per trasferirli nelle discariche. Bisogna considerare che oggi le mafie hanno un livello di competenza molto alta nell'affrontare i settori in cui si inseriscono, sono in grado perfino di creare società all'estero per essere più difficilmente individuabili. In un'indagine pubblicizzata qualche giorno fa si muovevano tra i Balcani, Inghilterra, Firenze e Reggio Calabria costruendo società capaci di fornire false fatturazioni; le imprese operavano due anni e poi si trasferivano nel Regno Unito dove venivano fatte cessare. Tali meccanismi rendono quasi impossibile individuare le attività illecite. Ci sono delle menti raffinate, come diceva Giovanni Falcone che pensano a sistemi per aggirare le leggi».

 

Come si combattono questi crimini?
«Le indagini sono complesse e durano a lungo. Smascherare meccanismi di questo tipo è difficile. Anche se la microspia capta il soggetto che conta le mazzette non è sufficiente. Bisogna indagare sulle società, sui legami finanziari, sulla verifica degli elementi che emergono dalle intercettazioni. Le indagini sono tanto più difficili quanto più è complesso il contesto. Per questo anche l'utilizzo di un ex collaboratore di giustizia può provocare un grave danno».
Le indagini della magistratura hanno individuato diversi politici corrotti. C'entra la mafia?
«La corruzione è lo strumento attraverso cui i clan entrano negli enti locali e nella politica, come ha scritto nella sua recentissima relazione la commissione antimafia. Ma fortunatamente l'inquinamento della politica non è la regola come avviene a volte in alcuni Paesi. Da noi è una patologia. D'altro canto, però, anche in sede locale, laddove il controllo della criminalità è pervasivo, a volte sindaci ed assessori finiscono con l'essere condizionati o essere essi stessi espressione delle mafie. E questo è il tema su cui occorre intervenire pensando a un accompagnamento dei nuovi eletti nei Comuni sciolti a causa delle infiltrazioni della criminalità organizzata. Se una giunta è stata condizionata dalla camorra, e dopo il periodo di commissariamento il territorio è ancora inquinato, allora è ipotizzabile che la malavita continui a condizionare ancora la politica locale. In questo caso sarebbe opportuno accompagnare i nuovi amministratori per i due anni successivi con il sostegno di commissari e con il controllo sulla legittimità degli atti. Questo non significa indebolire la democrazia ma rafforzarla».
Chi sono i facilitatori?
«L'utilizzo di consulenti e professionisti esperti è la forza delle mafie perché questi le occultano mentre intrattengono rapporti economici anche con il settore pubblico e in questo modo ne garantiscono l'anonimato. È quella borghesia mafiosa di cui da tanto si parla, il tassello che rafforza i criminali. Quando le mafie si pongono come scuola di illegalità è evidente che poi ci troveremo di fronte a meccanismi criminali nei quali il rapporto mafioso- professionista- imprenditore-politico resta sempre più sfumato. Nascono figure intermedie create per allontanare il soggetto mafia dal campo in cui sta operando».
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Ultimo aggiornamento: 15:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA