La lettera della mamma di Arturo: la mia battaglia affinché non succeda più

Mercoledì 31 Gennaio 2018 di Maria Luisa Iavarone
La lettera della mamma di Arturo: la mia battaglia affinché non succeda più
La vicenda di Arturo, che mi ha visto tristemente - da madre - protagonista di un fatto gravissimo, ha assunto rapidamente il volto dell’impegno sociale e civile. Un espediente a cui sono ricorsa per tentare di curare la mia disperazione che mi appariva senza fondo. Sono emersa dall’abisso ritenendo di dare a questa storia il volto eversivo della ribellione sociale ed educativa: io pedagogista per formazione, per cultura, per scelta. I carnefici di Arturo, di Gaetano, di Ciro, di Luigi sono, lo abbiamo detto in molti, dei «senza scuola» e dei «senza famiglia» e anche, quando, la scuola la frequentano, sono di fatto dei «dispersi in classe». Sono il prodotto del disfacimento progressivo e inarrestabile delle principali agenzie educative, incapaci di incidere significativamente nelle vite di questi inconsapevoli disperati. Ci troviamo di fronte a un esercito di «ragazzi contro» che hanno smarrito il senso della relazione con gli altri, incapaci come sono di riconoscere le proprie emozioni e che non sanno guardare l’altro negli occhi e neanche provare orrore, per l’orrore che essi stessi hanno generato. A Napoli come a Milano, come a Parigi. Non è un problema locale. C’è una emergenza non-solo-criminale ma di comprensione, di necessità di capire cosa accade nella mente di questi minori, spesso inadatti ad assumersi la responsabilità delle loro azioni e che palesano una preoccupante incapacità a cogliere la risonanza dei loro gesti. La questione, per come appare, richiede urgenti azioni innanzitutto sul piano dell’analisi del fenomeno criminale minorile alla luce delle recenti trasformazioni negli assetti socio-economici e culturali e naturalmente sul terreno degli interventi istituzionali nelle diverse sedi. 

E, dunque, sotto il profilo giuridico-repressivo, rieducativo-sociale ma soprattutto educativo-preventivo. Risulta evidente che la migliore risposta a un problema complesso sia, prima di ogni cosa, un’analisi accurata del fenomeno. È questo che ho inteso rappresentare in questi giorni di febbrile impegno comunicativo, nell’intento di contagiare il maggior numero possibile di cittadini capaci di ascoltare la mia storia, di indignarsi, ma soprattutto di comprendere oramai l’ineludibile, urgente necessità di un cambio di passo anche nelle politiche di questa città e di questo Paese. Qualcuno ha frainteso il mio impegno di queste settimane - in questo silenzio di proposte concrete che ci circonda, rotto solo dal frastuono della bagarre per la formazione delle liste elettorali - e ha letto nel mio genuino impegno di madre ferita quello di un candidato credibile. O, forse, spendibile. Proposte alle quali ho risposto con decisione: «No, grazie!». Perché sono realmente convinta che questa città abbia bisogno, innanzitutto, di donne e di uomini di buona volontà, di progetti concreti e di rapporti personali con le istituzioni che devono essere, senza retorica, veramente più vicine ai cittadini. Come lo sono stati con noi il Governatore De Luca, il Sindaco De Magistris, il Cardinale Sepe, il Ministro Minniti, il Prefetto Pagano, il Questore De Iesu, il Generale Del Monaco. Da loro mi aspetto, nel rispetto delle loro prerogative, un impegno che vada oltre l’emergenza e oltre la campagna elettorale, che individui azioni concrete ed efficaci, che renda immediatamente cantierabili alcuni progetti, attraverso un nuovo e più incisivo utilizzo dei fondi del Pon Sicurezza. Penso a misure di accompagnamento specifiche per minori a rischio, come le Scuole di Comunità, ma anche iniziative più sfidanti mirate alla costruzione di una «anagrafe del rischio». Risulta indispensabile, infatti, realizzare uno sforzo massimo nella interpretazione del «fenomeno rischio minorile» nel tempo presente e delle cause che lo hanno generato, al fine di predisporre azioni e interventi mirati che siano in grado di individuare «indicatori di rischio» precocissimi già a partire dalla seconda infanzia. La letteratura dispone di opportuni strumenti standardizzati di valutazione che attraverso check-list e protocolli di osservazione consentono di individuare comportamenti antisociali, condotte antinormative, atteggiamenti oppositivo-provocatori già intorno ai 7-8 anni di età. Questa analisi precocissima consentirebbe di individuare «predittori di rischio» e quindi renderebbe possibile costituire dei presidii utili alla prevenzione di comportamenti criminosi che oggi sono prodotti già ad opera di bambini di 10-12 anni. Immagino alla costituzione quindi di un registro-anagrafico del rischio, uno strumento utile a mappare per ogni scuola, per ogni classe, di ogni quartiere: «quanti sono» e, soprattutto, «chi sono» i minori bisognosi di essere accompagnati in appositi percorsi di sostegno e di recupero alla devianza? Oggi non lo sappiamo. Questo sistema consentirebbe di individuare, uno ad uno, i soggetti e di pensare ad azioni di supporto mirate da rivolgere anche alle famiglie, inserendo i genitori in programmi di recupero per il consolidamento di competenze educative e, ove questi non risultassero adeguati, prevedere limitazioni anche all’esercizio della potestà genitoriale. Insomma, rifondare una comunità significa fare scelte leali e risolute, di buona volontà e di responsabilità, nell’idea che un nuovo patto sociale si costruisce se la politica ha il coraggio di spostare l’asse dagli interessi di parte a quelli reali della comunità, utilizzando nuovi sensori di cambiamento e di mediazione culturale per una società civile che possa definirsi autenticamente democratica. Napoli può diventare, da questo punto di vista, un laboratorio di analisi e di scelte, nazionale ed europeo. Anche così si ribalta il racconto e il destino di una realtà come la nostra. Complessa ma viva.

© RIPRODUZIONE RISERVATA