Allerta Isis, il monito del gip: rischio imminente di un attentato a Napoli

Venerdì 27 Aprile 2018 di Leandro Del Gaudio
Allerta Isis, il monito del gip: rischio imminente di un attentato a Napoli
Pericolo di attentato «nella zona napoletana», un rischio definito dagli inquirenti «attuale e imminente». Un pericolo che va calato in uno scenario in cui si sta profilando l’esistenza di un «circuito terroristico operativo anche nella zona napoletana» (ma con solidi contatti con cellule in Spagna e in Francia), in grado di provocare un attentato «rivolto contro una moltitudine indiscriminata di soggetti». 

Sono questi i punti fermi delle indagini napoletane culminate nell’arresto del 21enne gambiano Alagie Touray, accusato di essere un potenziale terrorista Isis votato al martirio con un gesto eclatante, come l’auto spedita a folle velocità sulla folla. A distanza di qualche giorno dall’arresto dell’immigrato sbarcato in Italia e in attesa di un permesso di soggiorno definitivo, il quadro si fa sempre più concreto. Ed è il gip Isabella Iaselli a confermare l’attualità terroristica del pericolo attentato, proprio sottolineando la presenza di «un circuito napoletano». Una rete, un retroterra di conoscenza (contatti veri e in alcuni casi social, virtuali), su cui sono al lavoro gli inquirenti. È costituita da una ottantina di contatti, la rete relazionale del gambiano, almeno a spulciare i dati a disposizione della Procura. Si tratta di una quindicina di pagine ricavate dall’analisi della messaggistica su Telegram e su whatsapp, che contengono una ottantina di utenze. Contatti nazionali e stranieri, italiani, ma anche africani o europei. È da qui che prende il via il nuovo filone investigativo, quello che punta a stabilire la rete di complicità e la possibile gerarchia che ha indottrinato il presunto militante Isis. 
Sono due i punti cardine che hanno spinto gli inquirenti a chiedere e ottenere l’arresto di Alagie Touray: quel video postato sui circuiti telegram, prodotto a mo’ di selfie con il proprio telefonino cellulare, in cui lasciava una sorta di messaggio di adesione all’Isis; e le frasi indirizzate a un personaggio gambiano rimasto misterioso in cui chiedeva ai «fratelli» una preghiera di conforto, per «la missione da compiere». Si tratta di adesioni che, in almeno una ventina di casi presi in esame, si sono tradotte in azioni terroristiche. Quanto basta a passare al setaccio la rete di Touray, di qualificare la sua posizione in quel network costruito dall’odio per l’Occidente.

Ma torniamo al video, al messaggio testamento con cui il gambiano indica nel califfo Al Baghdadi il proprio leader: quello postato sui social è il quarto esemplare, dopo che i primi tre erano stati bocciati da un interlocutore sconosciuto. Una sorta di guida, che ha corretto l’arabo del cittadino del Gambia (qui la lingua nazionale è quella «mandinga», assieme all’Inglese) e che lo ha indotto a registrare una copia attendibile e corretta. Ed è seguendo i suggerimenti di una sorta di maestro spirituale che si comprendono le smorfie del volto del 21enne in quella manciata di secondi di pura liturgia terroristica: alza lo sguardo, come per cercare nella memoria il suono giusto, la parola corretta, la pronuncia che non faccia indispettire il proprio interlocutore. Ma chi c’è attorno al gambiano? Ci sono altre voci in sottofondo, siamo nella hall dell’albergo Circe, una struttura convenzionata con lo Stato che ospita gli immigrati. Voci, invocazioni. Non era solo, mentre giurava «fedeltà al califfo dei musulmani», «nei giorni facili e difficili», ma aveva attorno altri immigrati forse intenti a chattare, a registrare messaggi, a dialogare sui circuiti social grazie all’area «wifi» dell’albergo. 

Inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Rosa Volpe, magistrato che coordina il pool antiterrorismo della Procura di Gianni Melillo, non sono sfuggiti altri indizi, altri atteggiamenti del 21enne definiti «sintomatici» o comunque noti agli analisti internazionali dell’Isis. È lo scorso 20 aprile, quando Touray viene fermato all’esterno della Moschea di Pozzuoli e sottoposto a interrogatorio. Cosa fa il 21enne? Prima minimizza, raccontando la teoria del video fatto per scherzo, del video comico mandato a un amico in Gambia, poi ammette di aver fatto una sciocchezza e infine piange. Sono tre ingredienti, tre atteggiamenti noti a chi contrasta il califfato del terrore. Spiega al Mattino un esperto della materia: minimizzare, ammettere l’evidenza e piangere rientrano nel protocollo da assumere quando un aspirante martire viene arrestato. Ed è esattamente l’interpretazione del 21enne dinanzi a pm, polizia giudiziaria e giudice, quando è stato messo con le spalle al muro. 

Eppure in quel video non c’è spazio per un tono ironico, lo sguardo del gambiano appare concentrato quando gli occhi vanno alla ricerca della parola giusta da pronunciare. Poi ci sono i video di prova. Quelli non postati in un gruppo, ma spediti al fantomatico interlocutore gambiano: in uno di questi test, Touray chiede scusa, come se fosse un militare che ha sbagliato un’operazione. Insomma, nulla di riconducibile allo scherzo e al gioco, ma una trama che ha un suo metodo, un suo protocollo, una liturgia precisa. E rieccolo davanti ai magistrati napoletani quando il 21enne introduce un particolare che nessuno conosceva: è stato infatti Touray ad ammettere che il suo amico in Gambia gli «ha chiesto di usare una macchina contro la folla», anche se lui - giura ripensando alla mamma lontana - non avrebbe mai messo in pratica questa proposta. Gioco, ammissioni, pianto commosso, novità offerte assieme alla prostrazione di chi pensa alla madre in Africa e al fratello in Germania. Tutto in un quadro definito, mentre la Procura di Napoli cerca di dare un nome a quell’ottantina di utenze sbucate dal cellulare del 21enne, oggi in cella con l’accusa di essere un potenziale martire Isis. 
Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 08:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA