Se il profugo non vuol lavorare va rispedito al suo Paese

Mercoledì 8 Febbraio 2017
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Caro direttore,
onestamente le sembra giusto che il lavoro socialmente utile venga dato ai profughi per velocizzare l'integrazione e dare un impegno a ragazzi che altrimenti non saprebbero come passare le giornate (testualmente dal Gazzettino) quando milioni di nostri giovani sono nella stessa, tragica situazione?
Patricia Ervas
Conegliano (Tv)

Caro lettore,
se un profugo o uno straniero in attesa di riconoscimento viene privilegiato nella ricerca di un posto di lavoro e magari anche pagato, non mi sembrerebbe solo sbagliato ma anche folle: significherebbe togliere opportunità di occupazione ai giovani italiani e offrire ulteriori stimoli a chi vuole entrare nel nostro Paese.
Diverso il caso di profughi che vengono impiegati gratuitamente in servizi di pubblica utilità o di emergenza, che diversamente non verrebbero effettuati o graverebbero sulle già malcerte finanze dei nostri comuni.
In tal caso non mi sembra un fatto negativo: i profughi già costano allo Stato 34 euro al giorno, ma in questo modo non tolgono lavoro a nessuno, non costano nulla ai comuni e lavorare può aiutare il loro processo di integrazione. Porrei però una condizione: a chi si rifiuta di lavorare va riesaminato lo status di profugo. E se del caso rispedito nel suo Paese. 
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