Divieto di burkini, dove sbaglia l’Onu

Venerdì 2 Settembre 2016
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Caro direttore,
istituzione strana l'Onu, bacchetta la Francia perché si è permessa, udite udite di vietare il cosiddetto burkini nelle spiagge, non a Damasco o a Tripoli, ma in Francia, perchè, dicono all'Onu, "discrimina i musulmani". È un qualcosa che ha dell'incredibile. La Francia ha avuto centinaia di persone sterminate nel nome di Allah, giunta all'esasperazione si permette, e lo ripeto, a casa loro, di vietare il velo in spiaggia, e l'Onu dice no.

Ma dov'è l'Onu quando a essere non discriminati, ma massacrati sono i cristiani in tutti i paesi islamici dove sono stati assassinati a migliaia. L'Onu qui tace, glissa. È questa giustizia? Questo non è razzismo? La donna deve essere libera in Francia di vestirsi come vuole? Ma allora perché non anche nei paesi arabi? Complimenti all'Onu, un bradipo affogato nell'insensatezza, nella malafede e nell'ingiustizia più becera. 


Riccardo Gritti

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Caro lettore,
anche l’Onu ha diritto di parola. Peccato che questa emerita istituzione, di norma, si distingua per i suoi insostenibili silenzi più che per le coraggiose posizioni. Questa volta ha deciso di far sentire la propria voce per esprimere apprezzamento al Consiglio di Stato francese che ha sospeso il divieto dei burkini in spiaggia deciso da alcune località balneari. Si può o meno essere d’accordo su questa posizione: chi pone l’accento sulle libertà individuali sarà favorevole, chi mette sul piatto della bilancia altri principi come la sicurezza o la reciprocità dei diritti lo sarà molto meno.

Ma ciò che è davvero insostenibile nella posizione dell’Onu è il fatto che, letta con attenzione, la posizione del Palazzo di vetro suona come una sorta di divieto di critica al mondo musulmano: “Questi provvedimenti tendono ad alimentare l’intolleranza religiosa verso i musulmani”, scandisce infatti l’Onu. Cosa significa? Che dovremmo condividere posizioni e imposizioni del mondo islamico, sempre e comunque, altrimenti alimentiamo l’intolleranza? Proprio non ci siamo. Tolleranza e rispetto dei diritti non sono sinonimi di omologazione o di adesione passiva. Forse anche nei palazzi dell’Onu dovrebbero capirlo.
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