Occuparsi di Venezia senza il New York Times

Martedì 8 Agosto 2017
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Si è fatto un gran parlare dell'articolo apparso sul New York Times dal titolo Venezia, invasa da turisti, rischia di diventare una Disneyland sul Mare. Quelle che lasciano sconcertati sono le dichiarazioni rese dai veneziani intervistati. Un certo signore lamenta che se vuoi comperare del prosciutto, non lo puoi fare perché la salumeria se n'è andata. Ma questo signore non sa che non sono più i tempi quando si passava l'intera mattinata per comperare il pane dal fornaio, il latte dalla latteria, la verdura dall'erbivendolo? Ora tutti questi acquisti si fanno nel supermercato. In tutte le città (e basta andare a Mestre per rendersene conto) questi negozi di vicinato hanno chiuso e non certo per dar posto alla chincaglieria del basso turismo. Sempre nell'articolo si afferma che, al mattino, le barche distribuiscono a Venezia grandi quantità di acqua potabile, cibarie e bottiglie di Aperol per fare gli spritz. Quasi che i veneziani non dovessero mangiare e bere. Non capisco poi quali disguidi portino a Venezia i crocieristi. 

Giancarlo Tomasin

Caro lettore, 
credo che il New York Times, come qualsiasi altro giornale, abbia il diritto di parlare di Venezia, di criticarne la gestione dei flussi turistici o di apprezzarne aspetti più o meno noti. Il problema è un altro: Venezia non è solo sommersa dal turismo ma anche dai luoghi comuni e dai dibattiti inconcludenti. La realtà è che non esiste una ricetta unica per evitare la deriva Disneyland della città lagunare e non esistono neppure interventi neutrali e a costo zero, che non ledano cioè interessi costituiti. Se partiamo da questa consapevolezza, possiamo tentare di invertire la rotta e provare a restituire a Venezia una dimensione di città viva e vitale. La strada è armarsi di sano pragmatismo e sperimentare interventi e azioni, senza farsi condizionare da lobby e snobismi, ma anche con l'umiltà di essere pronti a tornare indietro se le azioni si rivelassero inefficaci o sbagliate. L'unicità di Venezia è tale che non è possibile fare diversamente: ogni intervento sulla città lagunare porta in sè conseguenze e difficoltà inimmaginabili in altri contesti. Ma questo non può diventare un alibi per continuare a dibattere senza agire. Il New York Times ha scritto cose giuste e cose risibili. Ma il problema non sono gli articoli di qualche autorevole giornale straniero. Il problema è Venezia e il suo futuro. Ed è di questo che ci deve occupare. Non solo a parole.
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