Io, ex malata di cancro chiedo più investimenti e meno tagli

Mercoledì 14 Settembre 2016
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Egregio direttore,
quanta retorica sprecata dagli esperti del dolore altrui, quando commentano le decisioni di pazienti morti di cancro dopo aver rifiutato le cure. 
Il cancro è un inferno. Ma dall’inferno si può anche uscire se, chi lo vive su di sé o sul corpo di amici e familiari, trova, nell’inferno, “chi o che cosa inferno non è”. Se trova assistenza adeguata e cure mirate a controllare gli effetti devastanti delle terapie chemioterapiche. Soluzione apparentemente semplice se non si dovesse fare i conti con i tagli alla sanità pubblica.
Invece il malato oncologico, nella scala gerarchica delle malattie, si sente un paria. Deve sopportare come inevitabile lo scempio perpetrato sul suo corpo e, se sopravvive, deve accettare “ con gratitudine” gli effetti collaterali di terapie che, in certi casi, si potrebbero controllare con minor dispendio di sofferenze. Servono strutture, medici, personale. Servono risorse, non tagli. Invece leggo che, al CRO di Aviano, il Ministero riduce i fondi erogati. Forse non tutti sanno che gran parte dei reparti oncologici sono gestiti in regime di day hospital, perché il malato deve essere curato a casa, come martella una pubblicità che vorrebbe spacciare la soluzione economica come la migliore. E così, quando quel paziente starà male, si sentirà dire che i ricoveri costano e che sarebbe meglio resistere e sopportare.
Anch’io sono stata sul punto di mollare. Ho resistito, e non per particolari meriti, nonostante qualche medico superficiale attribuisse a cause psicologiche gli effetti delle terapie. Nonostante esistano anche medici che ingaggiano una lotta personale col tumore in cui il paziente è solo un protocollo, da lasciare poi a un destino solitario, fatto di disperate peregrinazioni per ospedali, quando gli effetti della chemio lasciano segni evidenti. Nonostante tutto questo, ho scelto di credere alle parole del chirurgo che mi ha operata, salvandomi la vita e, nella fase più insopportabile, ho avuto la fortuna di trovare supporto nel reparto di medicina sacilese: senza quei ricoveri non avrei retto. Per queste ragioni ho scritto a Debora Serracchiani, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, con la preghiera “di investire sulla ricerca, sulle persone, sui buoni medici, soprattutto sulle risorse umane, il capitale fondamentale in qualunque azienda, ma ancor più nelle aziende sanitarie. Perché il diritto alla salute a noi, che viviamo la banalità della gente comune, appare sempre più compromesso dai tagli economici” Non ho avuto risposta. Non è importante. Mi basterebbe vedere che, quando si entra in ospedale, non si diventa clienti-ostaggi del sistema , ma si resta persone i cui diritti sono ancora garantiti dall’articolo 32 della Costituzione.

Liviana Covre

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Cara lettrice,
non voglio correre il rischio di aggiungere retorica alla retorica. Mi limito a pubblicare la sua lettera e a rilanciare il suo appello. Sperando che venga raccolto.
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