I femminicidi e le conseguenze di un'idea sbagliata dell'identità maschile

Giovedì 22 Novembre 2018
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Egregio Direttore,
negli ultimi giorni in Italia è un fiorire di conferenze sul fenomeno del femminicidio. Per condannare gli atti di violenza, una buona percentuale di relatori accosta le espressioni femminicidio e violenza di genere. Vocabili simili, non significa uguali. Il femminicidio è l'atto di violenza contro la donna. Violenza di genere invece ha un significato molto ampio e impreciso. Ma stando al nocciolo della questione, cioè la violenza sulle donne, vale la pena ricordare che fino ad oggi la sociologia aveva utilizzato l'equazione potere&violenza per spiegare quegli eventi in cui, all'interno di una relazione di amore, l'uomo è aggressore e la donna vittima. La violenza contro le donne in ambito familiare è stata portata alla luce dai movimenti di emancipazione femminile che, denunciando l'asimmetria dei ruoli spiegavano la violenza domestica come conseguenza del potere maschile. Negli anni 70 tale spiegazione era plausibile, 40anni dopo essa trascura i cambiamenti avvenuti nella condizione della donna e nella parallela evoluzione (o meglio, devoluzione) dell'identità maschile. Sarebbe interessante comprendere, senza filtri ideologici il nesso tra caduta dell'identità maschile (virilità) e picco di aggressività maschile verso le donne. 


Gianni Toffali
Verona 


Caro lettore,
secondo uno studio del Ministero della Giustizia in Italia nel quadriennio 2012-2016 ci sono stati in media 150 omicidi di donne l'anno. Di questi, basandosi sulle sentenze processuali, si ritiene che circa l'80% siano classificabili come femminicidi, cioè come vicende in cui la vittima è stata uccisa in quanto donna. Numeri importanti e preoccupanti. Tra l'altro lo stesso studio sottolinea il profilo primitivo delle modalità di questi omicidi, che in molti casi avvengono all'interno della coppia o tra persone che hanno intessuto relazioni. Spesso infatti siamo in presenza di ammazzamenti dopo colluttazioni in cui l'uomo sfoga un'aggressività inaudita utilizzando come arma il coltello o strumenti simili. Non sono un sociologo, ma è ragionevole credere che i mutati rapporti tra uomo e donna possano spiegare (non certo giustificare) l'efferatezza di questi atti e la gravità di questi numeri. Ma nel senso che alcuni (troppi) maschi non riescono ad accettare un rapporto equilibrato con l'universo femminile. Non si preoccupano di comprenderlo né, soprattutto, accettano l'idea che, non diversamente da un uomo, una donna sia libera di scegliere, di vivere e di amare. Tutte dimensioni dell'esistente che non sono un'esclusiva di una malintesa identità maschile, ma dell'umanità. Senza distinzione di genere.
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