La "linea della debolezza" del sistema politico per salvare Aldo Moro

Giovedì 10 Maggio 2018
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Caro direttore,
il 16 marzo è stato il ventinovesimo anniversario della strage di via Fani mentre oggi 56 giorni dopo venne ritrovato il corpo dell'on. Aldo Moro brutalmente assassinato dalle Brigate Rosse. Ma chi era Aldo Moro? Era un rappresentante, forse il più significativo di una generazione di giovani intellettuali cattolici che, al termine del secondo conflitto mondiale, volle, nel solco tracciato da Alcide De Gasperi, dedicarsi alla fondazione e costruzione dello stato democratico, prima nell'assemblea costituente, e poi nell'azione di governo. Moro fu leader di quel cattolicesimo democratico cui va il merito di aver dimostrato che esiste una conciliabilità fra cristianesimo e democrazia, anzi la possibilità di un arricchimento della democrazia attraverso i valori e la tradizione religiosa. In lui erano presenti una grande capacità di dialogo e di ascolto delle ragioni dell'altro, di lucidità nella lettura dei segni di cambiamento nella storia del nostro paese, di apertura a nuove prospettive dell'azione politica, costruendo le condizioni per l'appoggio esterno dell'allora Partito Comunista Italiano al neo governo che il giorno stesso del rapimento di Moro doveva costituirsi. Infatti chi non volle quell'accordo operò per tagliare e far morire chi allora operò, contro i grandi veti dei paesi stranieri dominanti, per riunire come in una costituente i grandi partiti italiani di allora. Molto ci sarebbe da riprendere della lezione che Moro ci ha lasciato in eredità.

Paolo Bonafè
Lido di Venezia



Caro lettore,
al di là di ogni giudizio politico, la figura di Aldo Moro occupa certamente un posto di primissimo piano nella storia del nostra Repubblica. Resta da capire perché tanto poco fu fatto per salvarlo. Continuo a pensare che quella che allora venne definita la linea della fermezza fu in realtà la linea della debolezza. La debolezza di un sistema politico-istituzionale, incarnato essenzialmente da Dc e Pci, diviso al proprio interno, incapace di fare davvero i conti con la storia e di impedire che in Italia il 68 durasse un decennio e che da fenomeno di ribellione tracimasse in assalto allo Stato e nella lotta armata. Il no alla trattativa fu allora l'unico modo per evitare che queste contraddizioni esplodessero dentro i partiti e dentro le istituzioni. Ma uno Stato davvero forte, soprattutto se in gioco c'è una vita umana, non ha paura a trattare con il nemico. La sua forza si esprime nell'annientare il nemico, non nel far morire un prigioniero. Non è un caso che, dopo il delitto Moro, il terrorismo rosso conobbe la sua stagione di maggior successo almeno sul piano Militare. Uno dei capi storici delle Br , Mario Moretti, disse che il numero dei militanti della lotta armata dopo il maggio 1978 salì da 800 a 5mila. Il 1979 fu l'anno in cui si registrò il maggior numero di attentati (269) e il 1980 quello in cui ci fu il maggior numero di vittime. E nel 1981 fu sequestrato il generale Dozier. Davvero non era meglio salvare Moro?
Ultimo aggiornamento: 16:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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