Arrigo Cipriani e le chiusure domenicali: «Ma la Repubblica non è fondata sul lavoro?»

Martedì 25 Settembre 2018
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Da un recente sondaggio risulta che il 56% degli italiani è contrario alla chiusura obbligatoria domenicale dei centri commerciali. Nel 1972, era allora ministro del Commercio Gianmatteo Matteotti figlio del martire del fascismo, fu indetta in Italia dalla Federazione dei Pubblici Esercizi, una serrata, appoggiata dal Ministero ed anche dai sindacati di settore, per ottenere una legge che imponesse la chiusura settimanale ai pubblici esercizi.

L'Harry's Bar e la Gelateria De Vidi di Santo Stefano furono gli unici Locali a Venezia a non aderire alla manifestazione. Anzi feci pubblicare il giorno prima sul Gazzettino una lettera nella quale esponevo le ragioni del mio rifiuto ad associarmi. Naturalmente ricevetti subito una serie di telefonate anonime il cui contenuto prevedeva per l'indomani la trasformazione del mio bar in una vetreria dai vetri infranti. Gli anonimi sono sempre vigliacchi, infatti, salvo una incredibile vendita di caffè che servimmo al prezzo corrente degli altri bar, non successe nulla.

Mandai nello stesso giorno a pranzo due miei collaboratori nel ristorante di un albergo diretto dall'allora direttore della Associazione Veneziana Dei Pubblici Esercizi. Il Capo della lotta. Il ristorante era aperto, non solo ai clienti dell'albergo, ma anche ai passanti. Un segno di straordinaria coerenza con le sacrosante rivendicazioni.

Naturalmente a futura memoria conservai la ricevuta fiscale. Non riuscivo a capire allora l'adesione dei Sindacati perché se oggi l'Harry's Bar dà lavoro a 75 persone senza chiudere un giorno la settimana, se lo dovesse fare, il numero dei lavoratori diminuirebbe di almeno il 20%. La verità credo stia nel fatto che i governanti, pur di avere l'approvazione delle minoranze, promulgano leggi che non hanno senso comune specialmente se pensiamo che la nostra Costituzione inizia con la famosa frase: L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Il quale lavoro dovrebbe essere l'attività principale di ogni uomo e non un optional tra un giorno di festa e uno di ferie. Se nelle aziende che non chiudono mai gli orari di lavoro sono illegali esiste un'arma a disposizione della protesta: lo sciopero. La chiusura obbligatoria viene invece sempre rappresentata come un rimedio alle coercizioni del datore di lavoro. Come mai non vengono messe sullo stesso piano le Ferrovie, le Compagnie aeree e tutte quelle attività che devono funzionare sette giorni su sette? Mi sembra di vedere il ritorno di una dittatura velata da populismo. Nel 1972 feci anche un'interessante scoperta. L'allora Ministero del Commercio invitò tutti gli esercizi pubblici ad uniformare il cartello che indicava ai clienti il giorno di chiusura. In nome della forma le stupidaggini possono essere infinite. Il cartello, bianco, rosso e blu, (???), obbligatorio anche quello, era prodotto e venduto in duplice copia dalla nostra Associazione. Costava 1000 lire che moltiplicato per due e per 250.000, che era il numero degli esercizi, faceva 500.000. Per l'Associazione l'incasso della vendita. Noi, violando l'obbligo ministeriale, lo scrivemmo a mano su un cartoncino bianco. 


Arrigo Cipriani
Venezia
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