Migranti, giro di vite sulle Ong: ipotesi sequestro navi straniere

Sabato 1 Luglio 2017 di Marco Conti
Migranti, giro di vite sulle Ong: ipotesi sequestro navi straniere

ROMA Finora nessuno le ha mai messe in dubbio ma al tempo stesso nessuno, o quasi, le ha applicate. Le Nuove linee guida varate dalla Commissione Ue sui migranti un paio d'anni fa sono in bella mostra sul tavolo del commissario Dimitri Avramopulus. A cambiare nome sono state le missioni di ricerca e salvataggio Triton e Sophia, che battono bandiera europea e che non rientrano tra quelle alle quali potrebbe essere impedito l'accesso ai porti italiani minacciato dal governo Gentiloni. Il resto, a cominciare dalla relocation, è lettera morta. Colpa dei Paesi che non accettano le quote, come Polonia e Ungheria, ma anche responsabilità di un meccanismo, che l'Italia chiede di cambiare, e che rende complicatissimo attribuire la qualifica di richiedenti asilo. Un criterio che, come maliziosamente ha sostenuto il presidente francese Macron, qualifica l'80% dei migranti presenti in Italia come migranti economici e quindi non oggetto dei meccanismi di relocation previsti da Bruxelles.

LA BASE
Al vertice di Tallin dei ministri dell'Interno dei Ventisette, il responsabile del Viminale Marco Minniti, chiederà una revisione del criterio che attualmente dà il diritto d'asilo ai migranti delle nazionalità che hanno almeno il 75% di tasso di riconoscimento di protezione internazionale a livello Ue. A conti fatti solo gli eritrei, oltre iracheni e siriani, sono entrati a pieno titolo nella definizione di richiedenti asilo mentre la maggior parte degli arrivi proviene dall'Africa sub-sahariana. I nigeriani, per esempio, non possono essere ricollocati ed è per questo che si vorrebbe ampliare il numero delle nazionalità da ricollocare e di rivedere il meccanismo delle quote alla base di una redistribuzione che in realtà non è ancora partita.

«Col cervello distinguiamo tra i rifugiati per motivi politici e quelli che vengono qui per motivi di fame - ha spiegato molto chiaramente ieri l'ex presidente della Commissione Ue Romano Prodi -. Ma io ho visto come vanno in pratica le cose. Uno che fugge per motivi politici oppure per motivi di reddito basso, di fame. Rimane in un campo profughi per due o tre anni e poi viene qui. Ma come facciamo a distinguere?». Una domanda alla quale l'Italia cerca risposta e che compone il pacchetto di richieste da sottoporre ai partner anche per evitare la misura estrema del blocco dei porti. Tra le nuove richieste italiane, norme più severe per le Ong, l'ipotesi di sequestrare le navi, l'allargamento della missione Frontex con la possibilità delle navi di collocare i migranti anche in altri porti di sbarco non italiani e una maggiore regolamentazione delle Ong. Ovvero mettere nero su bianco un codice di condotta che le ong dovrebbero sottoscrivere per entrare nei porti italiani. Infine, il lavoro sul fronte libico. Ieri l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Ue, Federica Mogherini, preparando a Tallin il vertice di giovedì e venerdì prossimi, ha annunciato la disponibilità di 40 milioni di euro dal Trust fund Africa per progetti in Libia. I fondi servirebbero per implementare la guardia costiera, il centro coordinamento operazioni a Tripoli e per rafforzare il confine meridionale.

LE RESISTENZE
I segnali più forti arrivano da Berlino. La Germania è uno dei pochi Paesi che ha accolto rifugiati, oltre i 600 mila arrivata via terra dalla rotta balcanica. Molto più resistente, tra i grandi Paesi, è invece la Francia che, alle prese con l'immigrazione dovuta al suo corposo passato coloniale, ha sinora aperto le proprie frontiere a poche decine di rifugiati e presidia con estremo rigore il confine di Ventimiglia. Dal canto suo l'Italia assicura più velocità ed efficienza negli hotspot per garantire un'esatta e più veloce identificazione grazie anche a più ufficiali di collegamento nei centri di accoglienza dei Paesi che accettano i rimpatri.

Sullo sfondo, ma non troppo, la riforma del sistema di asilo e degli accordi di Dublino che costringono il paese di prima accoglienza, cioè l'Italia, ad effettuare l'identificazione del migrante e la valutazione della richiesta di asilo. La dura resistenza dei Paesi dell'Est impedisce passi in avanti della proposta messa a punto dalla Commissione che sostituisce il criterio del Paese di prima accoglienza con un meccanismo di distribuzione obbligatorio.

Ultimo aggiornamento: 2 Luglio, 09:10

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