Trattati di Roma, l'Europa riparte dalla Capitale: politiche sociali e sicurezza

Domenica 26 Marzo 2017 di Alberto Gentili
Trattati di Roma, l'Europa riparte dalla Capitale: politiche sociali e sicurezza
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C'è aria di festa. Complici una primavera sfacciata e la bellezza michelangiolesca, i leader di un'Europa ferita, incerta, impaurita e affannata, approdano in piazza del Campidoglio brandendo sorrisi e strette di mano. C'è da rianimare l'Unione, da darle «nuovo coraggio», per citare Paolo Gentiloni. C'è da sconfiggere la sfiducia e lo scetticismo dei cittadini europei per provare a fermare la velenosa ventata populista e sovranista. Quella che ha fatto scattare l'addio della Gran Bretagna ed è alimentata da Vladimir Putin e applaudita da Donald Trump. Così, dopo giorni e giorni di trattative, di stop and go, di alchimie diplomatiche, i Ventisette alle 11.15 in punto - come da programma - nella sala degli Orazi e Curiazi firmano la Dichiarazione di Roma. «Queste sono firme che restano, ci sarà un centesimo anniversario dell'Unione», azzarda euforico il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. «Abbiamo messo in circolo qualche buon antidoto contro il populismo», fa sfoggio di ottimismo il maltese Joseph Muscat.

Già, gli antidoti. L'imperativo del summit in Campidoglio, celebrato 60 anni dopo la firma dei Trattati di Roma, è provare a sventare il successo tra un mese Marine Le Pen che promette di sgretolare l'Europa. Scongiurare nuovi divorzi a Est e a Nord. Impedire la vittoria dei partiti anti-euro, come i Cinquestelle.

GLI ANTIDOTI
Ebbene, le ricette per evitare «il disastro» sono condensate nelle tre pagine della Dichiarazione. Niente di clamoroso. Nulla di particolarmente nuovo. Perfino il piano di Angela Merkel, François Hollande, Gentiloni e dello spagnolo Mariano Rajoy di accelerare sull'unione della difesa e della sicurezza con il sistema delle diverse velocità, è inserito nel testo con timidezza: «Agiremo congiuntamente, a ritmi e intensità diversi se necessario, ma procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato». Frasi felpate che non impediranno le diverse velocità: «Le faremo quando necessario», dice Gentiloni. Ma che servono a ottenere il sì di Polonia, Ungheria e dei Paesi Baltici che temono di essere «marginalizzati».

Nell'Agenda di Roma che prende vita dalla Dichiarazione e avrà durata decennale, qualche lezione i Ventisette sembrano averla imparata. Qualche ricetta anti-populista c'è. Non si parla, ad esempio, mai di rigore contabile. Piuttosto si marca l'accento su occupazione, crescita, prosperità. Viene indicato l'obiettivo di un'Europa «più sicura, in cui le frontiere esterne sono protette», capace di varare «una politica migratoria efficace» e «determinata a combattere il terrorismo». Ed è scandita la promessa di «un'Unione in lotta contro l'esclusione sociale e la povertà». Tutti temi, problemi, mancanze, che fin qui hanno gonfiato di voti i partiti euro-scettici.

Parole, parole parole, avrebbe intonato Mina. Antonio Tajani, neopresidente del Parlamento di Strasburgo, invece la mette così: «Da domani vigileremo sull'attuazione degli impegni sottoscritti a favore dei cittadini». Gentiloni accetta la sfida: «Questo è un grosso passo avanti, è una buona base per avere una direzione di marcia per i prossimi dieci anni. E se non potremo farlo tutti insieme, lo faremo con le cooperazioni rafforzate». Con le diverse velocità, appunto. Perché il problema è sempre lo stesso: l'Europa a Ventisette rischia la paralisi, a Est sono più interessati ai fondi strutturali che all'afflato europeista. E guardano a potenziali rapporti bilaterali con gli Stati Uniti di Trump. Non a caso nella Dichiarazione è scandito un monito: «Agendosingolarmente saremmo tagliati fuori. Restare uniti è la migliore opportunità per difendere i nostri interessi».

Ma la celebrazione romana non è giorno di sospetti. E neppure di pessimismo. Quasi con sorpresa Juncker dice: «Si sta creando una buona atmosfera, c'è fiducia». E Gentiloni: «Visto?! Il progetto europeo può ancora suscitare emozioni».

Il premier italiano, nel ruolo di padrone di casa, è quello che si impegna di più nel tentativo di ridare slancio a un sogno che rischia la dissolvenza. Così, nel suo discorso, Gentiloni ricorda l'«insegnamento dei padri» Adenauer, De Gasperi, Monnet, Schuman, Spaak che «iniziarono a costruire un'Unione di pace, libertà e di progresso dopo due guerre mondiali. E avevano visto giusto se eravamo 6 sessant'anni fa, e oggi siamo 27».

LE NUOVE RISPOSTE
Il problema è che negli ultimi anni «il mondo è cambiato». E l'«Europa si è fermata». Non ha offerto soluzioni «alla globalizzazione, alle minacce del terrorismo, alla più grave crisi economica dal dopoguerra, ai grandi flussi migratori». Tutto questo, secondo Gentiloni, «ha provocato una crisi di rigetto in una parte dell'opinione pubblica. Ha fatto riaffiorare le chiusure nazionalistiche». Ma per il premier, «l'Europa ha imparato la lezione, l'Unione oggi riparte». Con l'Agenda di Roma proverà «a restituire fiducia ai cittadini».

Qui si torna agli antidoti: crescita, investimenti, riduzione delle disuguaglianze, lotta alla povertà, politiche migratorie comuni, impegno per la sicurezza e la difesa. La vera scommessa sarà realizzare il piano. «Serve il coraggio di voltare pagina», predica Gentiloni.

Già, ma se tra un mese in Francia vincesse Marine Le Pen? La risposta migliore è di Juncker: «Ai francesi dico, non dimenticate di essere la Francia, un Paese che sa parlare al resto del mondo. Restate francesi». Se lo dimenticassero, tra qualche settimana l'Unione europea verrebbe seppellita. Altro che Brexit.

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Ultimo aggiornamento: 27 Marzo, 15:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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