Dj Fabo, Cappato si difende: «Legge beffarda, discriminato chi ha bisogno di aiuto per morire»

Giovedì 6 Luglio 2017 di Claudia Guasco
Dj Fabo, Cappato si difende: «Legge beffarda, discriminato chi ha bisogno di aiuto per morire»
«Oggi abbiamo rivendicato l'aiuto dato a Fabo perché era un suo diritto e un nostro dovere», dice Marco Cappato. Entro una settimana si saprà se l'indagine sulll'esponente dei Radicali, accusato di aiuto al suicidio per aver accompagnato a febbraio in una clinica svizzera Fabiano Antoniani, quarantenne tatraplegico che ha scelto la "dolce morte", sarà archiviata o meno oppure se gli atti verranno trasmessi alla Consulta affinché si pronunci sulla eccezione di legittimità costituzionale, sollevata da Procura e difesa, dell'articolo 580 del codice penale, quello appunto relativo all'istigazione o all'aiuto al suicidio.

DIRITTO A UNA VITA DEGNA
Cappato, sostengono i suoi difensori, non ha commesso alcun reato, ma "
«a consentito l'esercizio del diritto alla dignità della vita» di Fabiano Antoniani, «affetto da paralisi totale e cecità assoluta» a seguito di un incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014.
Il medico consulente dei pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini - che hanno chiesto al gip l'archiviazione per il radicale - ha inoltre certificato
«un tipo di dolore fisico che può raggiungere un'intensità insopportabile». Dj Fabo, scrivono i difensori di Cappato nella memoria depositata al giudice, dipendeva completamente dall'assistenza continuativa di più persone ed era «perfettamente lucido, oltre che consapevole della irreversibilità della sua penosa situazione». Di fronte a sé aveva due strade: «Continuare a rimanere in uno stato di vita che egli non considerava dignitoso oppure legittimamente chiedere - con ciò esercitando il proprio diritto, costituzionalmente garantito, all'autodeterminazione - l'interruzione delle cure e dell'alimentazione». Fabiano però non dipendeva del tutto dal respiratore e sarebbe andato incontro a una «lunga agonia caratterizzata da una lenta quanto inesorabile degradazione del suo stato, sempre più lesiva della dignità umana». Così, si legge nella memoria, «ha legittimamente deciso di percorrere la terza via, scegliendo una morte certa e dignitosa». Per questo, sostengono i legali, Marco Cappato «ha ritenuto giustificata e anzi doverosa la scelta di aiutare Fiabiano Antoniani a realizzare la propria lucida, consapevole e legittima decisione di esercitare il proprio diritto a una vita dignitosa».

DISCRIMINAZIONE BEFFARDA
In quest'ottica, rileva la memoria, l'articolo 580
«risulta irragionevole ed eccessivamente rigido, perché non distingue situazioni molto diverse». Un conto, secondo i difensori, è chi può porre fine alla vita limitandosi a rifiutare le cure, altro chi invece ha bisogno di un aiuto esterno per morire. «Chi è in condizioni di patologia irreversibile tale da compromettere la dignità della vita, ma non dipende in toto dalle macchine, risulta discriminato rispetto a chi può porre fine alla vita con il semplice rifiuto alle cure». In questo modo, per i legali, «si rischia così di creare una discriminazione paradossale e beffarda tra chi ha la "fortuna" di poter porre fine alla vita solo esprimendo la colontà di rifiutare il trattamento e chi, per contro, pur essendo in analoghe condizioni di patologia irreversibile e di vita sofferente e non più dignitosa, può respirare autonomamente e quindi ha necessità di un aiuto per porre fine alla propria vita».
Ultimo aggiornamento: 7 Luglio, 08:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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