Primarie Pd, Zingaretti vince con il 67%. Più di 1,6 milioni al voto

Lunedì 4 Marzo 2019 di Nino Bertoloni Meli
Una sede del Pd
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Nel giro di poco, il gettonato Mark Twain («la notizia della morte del Pd è un tantino esagerata») cede il passo allo slogan da stadio «siamo più vivi che mai». In un crescendo che allarga i sorrisi a tutti, affluiscono i dati dell'affluenza che confermano le impressioni delle code ai gazebo: «siamo al milione di votanti»; «siamo al milione e 200 mila»; «sfioriamo il milione e mezzo»; fino al liberatorio «siamo a 1 milione e 800 mila». Cifra poi corretta a 1,6 milioni dagli ultimi conteggi comunicati dal Pd. Un'affluenza molto oltre le più rosee aspettative, visto che alla vigilia il raggiungimento del milione sembrava già un azzardo.

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Affluenza alta che non poteva che trascinare verso l'alto i consensi per Nicola Zingaretti, il super favorito, che si è attestato sul 67%, scongiurando sul nascere ogni riferimento al ricorso al ballottaggio in assemblea se non si fosse staccato oltre il 50%. «L'Italia che non vuole i gialloverdi resiste, i delusi stanno tornando», le prime parole del nuovo leader.

Il dato dell'affluenza eguaglia quello raggiunto nel 2017, le ultime primarie vinte da Matteo Renzi con il 69% per cento e con 1 milione e 850 mila votanti, segno che Zingaretti e la sua prossima squadra non eredita un partito morto, ma segno anche che il Pd esiste, persiste e consiste anche senza Renzi o comunque anche con l'ex leader defilato.

 
 


Il milione e 850 mila delle primarie renziane era stata l'affluenza più bassa registratasi nella ormai decennale storia delle primarie dem. In principio furono le primarie di Walter Veltroni, il primo leader, nel 2007, tuttora il record assoluto di partecipazione e di consenso, con oltre 3 milioni e mezzo di votanti e una percentuale di oltre il 75%. Due anni dopo tocca a Pierluigi Bersani, che vince e conquista la leadership del Pd con un risicato 53,2%. Anche nel 2009 affluenza alta con 3 milioni e 67 mila votanti, mezzo milione in meno della prima volta. Con il 2013 cominciano le primarie dell'ascesa renziana ma anche della discesa dei partecipanti: 2 milioni e 800 mila votanti danno al neo segretario il 67,5%. Sono le primarie che fanno scoprire un Pd inedito, con i gazebo che rivelano non essere più gli ex Ds i padroni della Ditta, quest'ultima, anzi, aveva cambiato padroni di casa ed erano state anche cambiate le serrature.

 


E si arriva al dato della vittoria zingarettiana. Paradossalmente, i primi a congratularsi, a gioire quasi, sono stati i suoi avversari, in ordine inversamente proporzionale al risultato. «Auguri a Zingaretti, è il nuovo segretario, altro che partito morto», twitta Bobo Giachetti quando le proiezioni gli danno un buon 12/15%. «Auguri a Nicola, è una giornata bella per tutti», twitta Maurizio Martina è vicino al 20%. Si fa sentire pure Renzi, che si congratula e ripete «spero che ora non cominci il fuoco amico come è stato fatto con me».

Per il governatore del Lazio, che tale rimarrà, viene adesso il duro lavoro da leader. Due i dossier più urgenti: i conti del partito e le Europee. In attesa della segreteria e della squadra, la testa che salterà sarà quella di Bonifazi, il tesoriere, per rimettere in sesto i conti in profondo rosso, lavoro per il quale sarà forse richiamato in servizio Misiani, tesoriere ai tempi di Bersani. Per le Europee ci sarà un candidato capolista donna, nella persona di Ilaria Cucchi. Non sono previsti vice, Martina non lo diventerà, e comunque i renziani si apprestano fin d'ora a fare la minoranza interna.

 

Ultimo aggiornamento: 5 Marzo, 08:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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