Conte: «Debito, decisi con la Ue». Il piano: deficit/Pil fino al 3%

Giovedì 7 Giugno 2018 di Luca Cifoni e Alberto Gentili
Conte: «Debito, decisi con la Ue». Il piano: deficit/Pil fino al 3%
Nulla di ufficiale. Il governo, come spiega il premier Giuseppe Conte, «si è appena insediato e stiamo ancora costituendo gli uffici, non chiedeteci dettagli normativi...». Eppure, un po' per volta prende corpo la strategia di 5Stelle e Lega per finanziare il corposo programma di spesa: in primis flat-tax, reddito di cittadinanza, revisione della legge Fornero sulle pensioni. E dalle stanze del governo gialloverde spuntano fuori due proposte che faranno venire l'orticaria a Bruxelles e a Berlino. La prima: infischiarsene del Patto di Stabilità e del Fiscal compact, spingendo dal prossimo anno il rapporto deficit-Pil al 3%. La seconda: non conteggiare nel deficit le spese per investimenti pubblici infrastrutturali.

IDEA EREDITATA
Niente di nuovo per la verità. Già Matteo Renzi, nel luglio dello scorso anno, propose di abolire il Fiscal compact e di tornare per 5 anni ai parametri di Maastricht, facendo scattare il rapporto deficit-Pil al 2,9% per tutto il quinquennio. Contemporaneamente, nei progetti dell'allora segretario Pd, un'operazione finanziaria straordinaria avrebbe dovuto assicurare la discesa del rapporto debito/Pil. I gialloverdi si spingono al 3%. E in soldoni, visto che secondo il percorso concordato con la Ue l'Italia il prossimo anno dovrebbe far scendere il rapporto tra deficit e Pil allo 0.8%, vorrebbe dire poter spendere 40 miliardi di euro in più. «Soldi utili e buoni», dice una fonte di rango della Lega, «per migliorare la vita degli italiani. Ci faranno la procedura d'infrazione? Ci manderanno la Troika? Vedremo. Intanto noi al 3% ci arriviamo per far ripartire i consumi, alzare il Pil e di conseguenza ridurre il debito. A Bruxelles non sono d'accordo? Vedremo. L'aria in Europa è molto cambiata...». Per avere un termine di paragone, si può ricordare che la Francia ha portato il rapporto deficit-Pil sotto la soglia del 3 solo nel 2017, dopo dieci anni di sforamento.

Lo stesso Conte, nel suo intervento alla Camera, mette a verbale: «Negozieremo a livello europeo, ci siederemo al tavolo esprimendo un indirizzo politico. Ci auguriamo di avere la fermezza e la risolutezza di essere ascoltati». E martedì in Senato aveva detto: «Il debito oggi è pienamente sostenibile però lo ridurremo con la crescita, non con le misure di austerità che hanno contribuito a farlo lievitare».

Un approccio ruvido, in linea con la strategia di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio, decisi a strappare nuove e corpose fette di flessibilità con la minaccia (sempre smentita ma che aleggia nell'aria) di demolire la moneta unica.
Il 3% non è la sola pistola fumante poggiata sul tavolo della trattativa europea dalla maggioranza gialloverde. L'altra, appunto, è la famosa golden rule, la regola aurea (per la quale hanno lottato inutilmente negli anni scorsi Mario Monti, Enrico Letta e Renzi) che permetterebbe di non conteggiare nel deficit le spese per gli investimenti. L'Italia ne ha avuto solo un piccolo assaggio, per un anno, con la cosiddetta clausola degli investimenti. A riproporla è il nuovo ministro dell'Economia, Giovanni Tria, in un articolo sulla rivista Formiche: «Un vasto programma di investimenti pubblici infrastrutturali potrebbe essere attuato e finanziato in deficit senza creare un problema di sostenibilità dei debiti pubblici attraverso un finanziamento monetario palesemente condizionato a livello europeo». Nel testo Tria evidenza inoltre il forte «effetto positivo» degli investimenti «con effetti virtuosi sulla crescita di lungo termine».

«PAGHI LA BCE»
Il Tesoro è corso a ridimensionare la proposta, affermando che si «tratta di un articolo di carattere accademico elaborato nelle settimane scorse nell'ambito di una riflessione scientifica sul ruolo degli investimenti». La Lega invece intende cavalcarla. E si spinge a suggerire che sia la Banca centrale europea a finanziare direttamente il piano di investimenti infrastrutturali. Con un problema: i 5Stelle non sono tifosi delle opere pubbliche. Anzi. La prova: il quasi-stop all'Alta velocità Torino-Lione.
Ultimo aggiornamento: 11:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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