Stupro Rimini, ecco chi è Butungu "il biondo", capobranco in giacca e cravatta

Lunedì 4 Settembre 2017
Stupro Rimini, ecco chi è Butungu "il biondo", capobranco in giacca e cravatta

Guerlin Butungu, detto il 'biondo' dalla sua gang di minorenni, non passava inosservato. Viveva a Pesaro ma non è chiaro dove. Parlava un buon italiano. Non aveva una fidanzata ma ha potuto contare fino a poche prima della cattura su una casa dove teneva il suo rifornito guardaroba. Pregava nella Casa del Regno dei testimoni di Geova di via Federici e di sera si atteggiava a boss: di pomeriggio giocava con la Delfino Fano juniores e la sera c'era la droga; girava spesso in giacca e cravatta e valigetta 24 ore, tutto impettito, lanciando messaggi di pace su Facebook. Poi si faceva fotografare in locali alla moda dimostrando grande facilità di soldi.



È la doppia faccia del ventenne congolese arrestato ieri per gli atroci stupri di Rimini. Una specie di dottor Jekyll e mister Hyde, insomma, di cui fino a oggi non erano mai arrivate segnalazioni a polizia e carabinieri. Butungu era uscito ad aprile dal programma di casa Freedom di Pesaro, che ospita 15 rifugiati. Diceva agli amici di aver subito torture in Congo - dove non avrebbe più nessun parente ad eccezione di alcuni zii - e a riprova mostrava due dita di una mano paralizzate.



Sui ragazzi, secondo gli inquirenti, il 'biondo' esercitava un dominio vero. Eppure, per la responsabile della Sezione migranti della Cooperativa Labirinto di Pesaro, Cristina Ugolini, «aveva un comportamento rispettoso verso i compagni e gli operatori». «Come potevamo prevedere che una persona sempre corretta, senza più nessuno al mondo dopo la morte di entrambi i genitori, con la voglia di vivere una vita piena, si sarebbe trasformata in un violentatore spietato? Butungu - aggiunge Ugolini - ha imparato l'italiano, ha seguito i corsi da cameriere, giocava a calcio, era religioso, mai uno screzio o prepotenze verso gli altri. Una personalità opposta a quella che è emersa. Dopo aver finito il periodo con noi non si è fatto più sentire, ma pensavamo che stesse lavorando o comunque avesse trovato la sua strada. Nessuna segnalazione o sospetto che fosse invischiato in giri loschi. Siamo delusi e dispiaciuti e vogliamo che paghi per il male che ha fatto».



C'è poi la gang dei ragazzini, i due fratelli marocchini di 15 e 17 anni e il ragazzo nigeriano di 15, già avviati alla carriera di malviventi.

Furti a raffica di motorini, soprusi e piccole rapine ai danni di coetanei, un agguato solo 20 giorni fa a un gruppo di ragazzine a cui hanno preso due iphone dopo averle pesantemente molestate. La prova generale prima del salto di qualità. «Questa volta l'abbiamo fatta grossa», hanno detto i fratelli marocchini ai Carabinieri di Montecchio di Vallefoglia (Pesaro) quando si sono consegnati. Probabilmente, riflette il comandante, maresciallo Angiolo Giabbani, lo hanno fatto «perché dopo la divulgazione delle immagini sapevano di avere le ore contate, avevano la consapevolezza che il cerchio si sarebbe stretto. La loro confessione ha poi fornito gli indizi per arrivare agli altri due membri del branco: non hanno fatto nomi e cognomi, anche perché spesso i ragazzi si conoscono con dei soprannomi, ma hanno dato gli elementi utili a catturare anche i complici».

Ultimo aggiornamento: 19:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA