Anna, violentata e segregata per anni: pena ridotta a 8 anni per il suo aguzzino romeno

Martedì 10 Aprile 2018
Anna, violentata e segregata per anni: pena ridotta a 8 anni per il suo aguzzino romeno
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Non una riduzione in schiavitù, ma una terribile vicenda fatta di violenze sessuali, maltrattamenti e lesioni. Per queste imputazioni oggi Ion Grigoriu, romeno di 45 anni, è stato condannato in appello a 8 anni e mezzo di reclusione. I giudici hanno ridotto la condanna a dieci anni inflitta nel maggio dello scorso anno all'uomo dalla III Corte d'assise capitolina; riduzione motivata con l'assoluzione dell'uomo dall'accusa di riduzione in schiavitù aggravata con la formula «perché il fatto non sussiste», ma la conferma delle altre contestazioni.

Terribile la storia di Anna, ragazza arrivata dalla Russia nel 2009 dopo aver terminato nel suo Paese gli studi universitari. Era la mattina del 29 gennaio 2016 quando i carabinieri, nel corso di un intervento mirato al contrasto dei continui furti di energia da parte degli occupanti abusivi di un capannone industriale, trovarono in una baracca la ragazza russa; era rannicchiata tra le coperte, molto spaventata, e tutta dolorante. Raccontò ai militari che da circa due mesi era trattenuta in quel luogo da tale Grigoriu. Davanti ai giudici raccontò la sua storia. Era arrivata dalla Russia con la madre (poi rientrata nel Paese d'origine), aveva sempre lavorato come babysitter, barista, hostess in un ristorante, cuoca, badante. Fino a quando conobbe un moldavo, del quale rimase incinta. A causa dei continui litigi tra loro furono allontanati da casa, fino a quando furono ospitati da Grigoriu in un capannone abbandonato in zona Arco di Travertino. Il suo convivente fu ancora una volta allontanato per le sue intemperanze, e la ragazza rimase ad abitare in quel capannone, confidando nella protezione del romeno.

Da quel momento, la situazione degenerò. La giovane donna raccontò che Grigoriu la malmenava violentemente (disse che gli altri occupanti del capannone non reagivano perché avevano paura dell'uomo), l'aveva violentata nonostante fosse incinta, la minacciava di morte in caso di richiesta di aiuto dalle forze dell'ordine; disse anche che era costretta a lavare, stirare, fare le pulizie e cucinare per tutti gli occupanti del capannone, e se si ribellava riceveva pugni, calci e botte. I giudici di primo grado ritennero evidente lo stato di soggezione e lo sfruttamento della ragazza; e, corredando il tutto con la personalità dell'imputato, arrivarono a una sentenza di condanna a 10 anni di reclusione. Oggi la lieve riduzione della condanna in appello.
Ultimo aggiornamento: 16:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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