Serena Mollicone, la Procura: «Fu uccisa dalla famiglia del maresciallo»

Mercoledì 20 Febbraio 2019 di Aldo Simoni e Vincenzo Caramadre
Serena Mollicone, la Procura: «Fu uccisa dalla famiglia del maresciallo»
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In una precedente versione dell'articolo era comparsa la foto di una persona totalmente estrane ai fatti

Omicidio di Serena Mollicone: prima i sospetti su un amico carrozziere (processato e definitivamente scagionato); poi sul fidanzato (prosciolto da ogni accusa) e ora sulla famiglia del maresciallo che viene accusata dell'uccisione della studentessa. Mai un giallo è stato così ricco di colpi di scena. E mai un paesino di 5 mila anime, come Arce, è stato tormentato da un interrogativo così grave: ma chi è l'assassino di Serena?

Ieri la svolta: a 18 anni dal delitto, i carabinieri hanno depositato, in Procura, l'informativa che, a chiusura delle indagini, ridisegna la scena del crimine, individuando 5 persone da mandare sotto processo. E, soprattutto, conferma che Serena Mollicone fu uccisa durante una discussione con Marco Mottola, figlio dell'ex maresciallo, all'interno della caserma dei carabinieri di Arce. Dunque, quel drammatico 1° giugno del 2001 Serena, 18 anni, fu colpita e poi sbattuta, con la testa, contro la porta di un alloggio, interno alla caserma, nella disponibilità dell'ex maresciallo Franco Mottola.

Ma perchè la ragazza andò in caserma? Serena (secondo l'informativa) la mattina del primo giugno 2001 si recò in caserma per un chiarimento con il figlio del maresciallo, con il quale aveva avuto una discussione per questioni legate allo spaccio di droga. Poco dopo le 11.40 suonò in caserma, dove di piantone c'era Santino Tuzi (il brigadiere che si suicidò, nel 2008, poco dopo aver riferito agli inquirenti di aver accolto Serena). La ragazza quindi salì verso l'alloggio del maresciallo e qui successe l'irreparabile. Durante la discussione con Marco Mottola, fu sbattuta contro la porta e morta dopo ore di agonia. Il corpo, quindi, venne legato con del nastro adesivo e gettato nel boschetto di Fonte Cupa dove venne ritrovata, tra i cespugli, due giorni dopo.
 

 


INDAGATI
Da qui l'accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere per la famiglia Mottola (padre, madre e figlio). Ma gli indagati, sono anche altri due: il luogotenente Vincenzo Quatrale, nei confronti del quale viene ipotizzato il concorso morale perché avrebbe sentito le urla, ma non sarebbe intervenuto; e il maresciallo Francesco Suprano indagato per favoreggiamento.
Quello ricostruito dai carabinieri è un quadro assolutamente indiziario che poggia su tre elementi: la dichiarazione resa in Procura dal brigadiere Santino Tuzj nel 2008 poco prima di uccidersi; la consulenza della professoressa Cristina Cattaneo (dell'Istituto di Medicina Legale di Milano) che ha concluso per la compatibilità della frattura cranica su Serena e il segno di effrazione sulla porta di legno sequestrata in caserma; e, infine, il terzo elemento è la consulenza dei Ris con la quale è stata riscontrata la presenza di frammenti di porta e tracce della vernice della caldaia della caserma, tra i capelli di Serena. Con la conseguente compatibilità di questi materiali con l'ambiente della caserma. Un quadro indiziario corredato di una ricostruzione video, eseguita dal Ris. Ora l'informativa è nella mani della Procura che a breve procederà con i rituali avvisi di conclusione delle indagini preliminari.
 


LA DIFESA
Una ricostruzione, però, che la famiglia del maresciallo respinge con decisione.
Ed è il loro avvocato, Francesco Germani, a illustrarne i motivi: «Mi spiegate, allora, perchè tutti gli esami eseguiti sulla famiglia Mottola hanno dato esito negativo? E mi riferisco al Dna, alle impronte, ai capelli... Come mai tutte scagionano i miei assistiti? E poi basta ricordare che ogni delitto obbedisce a una logica. E le pare che se veramente Serena fosse morta contro quello spigolo, la porta sarebbe rimasta lì? Se davvero la famiglia Mottola fosse stata responsabile, avrebbe avuto tutto il tempo per farla sparire. E invece, dopo 13 anni, la porta era ancora lì, al suo posto. Non solo: ma quella porta appartiene non all'appartamento del maresciallo, ma a quello adiacente che era disabitato». L'ultima parola, ora, alla Procura di Cassino.

Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 15:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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