Banche beffate dal crac Compiano
perdono cinquanta milioni

Giovedì 6 Dicembre 2018 di Denis Barea
Il caso compiano si arricchisce di nuovi capitoli
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TREVISO - Pagati tutti gli stipendi e tfr dei dipendenti e liquidate pure le parcelle dei professionisti, chi è restato con il cerino in mano nel fallimento del gruppo Compiano sono le banche, che rischiano di vedere insoddisfatti crediti per oltre 50 milioni di euro, in buona parte linee di finanziamento concesse sia alle diverse società della galassia che faceva riferimento al colosso della vigilanza che allo stesso Luigi Compiano.  Come nel caso di un mutuo da 4 milioni di euro sottoscritto dall’ex patron nel 2006 con la Banca di Credito Cooperativo del Nord Est (con sede a Trento) garantito da una ipoteca che grava su immobili che sono stati confiscati dallo Stato nell’ambito del procedimento per evasione fiscale (la sentenza di condanna nei confronti di Compiano a due anni e 4 mesi di reclusione è stata confermata a luglio dalla Cassazione). 

L’UDIENZA

Per tornare a casa di quei soldi il Credito Cooperativo del Nord Est ha allora deciso di fare “causa” al Demanio, presentando al Tribunale di Treviso una istanza per la revoca o la dichiarazione di inefficacia della confisca definitiva di quegli immobili su cui era stata messa l’ipoteca. Ieri c’è stata l’udienza davanti al giudice dell’esecuzione Michele Vitale, che si è riservato la decisione. La Banca di credito Cooperativo del Nord Est ha chiesto, in subordine, che a saldare il debito sia lo Stato, che è il nuovo proprietario dei beni, sostenendo che l’ipoteca è stata iscritta molto prima del provvedimento di sequestro divenuto definitivo solo 5 mesi fa. Tanto più che al momento della stipula del mutuo nessuno poteva sapere o immaginare quello che stava succedendo nelle società del gruppo e di riflesso al patrimonio personale di Luigi Compiano e della sua famiglia. Ipoteca bancaria contro confisca dello Stato, quindi. 

GLI ALTRI CREDITORI

Ci sono però anche debiti verso altri istituti di credito che non sono garantiti da nulla se non dai contratti di finanziamento. Ma i soldi del fallimento sono praticamente finiti. La curatela, nel saldare i debiti, è andata infatti per gradi: prima i dipendenti e i loro stipendi, gli arretrati e il trattamento di fine rapporto, poi le parcelle non saldate ai professionisti. Andando giù giù fino al 19esimo grado del credito fallimentare. L’ultima fermata utile sono i 31 milioni di Iva da versare allo Stato. Liquidati quelli non resterà praticamente più nulla. Anche per questa ragione il curatore Sante Casonato aveva presentato in passato una istanza identica a quella del Credito Cooperativo trentino, chiedendo al giudice civile di Treviso di revocare la confisca di una parte dei proventi della vendita delle vetture d’epoca che ha fruttato poco meno di 50 milioni. L’assunto è che quella macchine di valore fossero state di proprietà della Autocom, una delle società controllate inghiottita dal crac, e che quindi si tratterebbe di risorse che darebbero ossigeno alla massa fallimentare con cui soddisfare i creditori rimasti ad oggi a becco asciutto. 

IL RICORSO

È la stessa logica con cui sempre la curatela fallimentare ha presentato ricorso alla Cassazione civile contro una delle 13 sentenze del Tribunale civile di Treviso che stabiliscono come i 37 milioni sottratti dai depositi conservati nel caveau della Nes non siano mai entrati nel patrimonio delle società ma che una volta “prelevati” finirono direttamente nelle tasche di Compiano. Morale: se mai dovessero ricomparire non potrebbero essere usati per pagare i creditori delle società. Una tesi che sembrerebbe essere stata accolta anche dal gup Angelo Mascolo che, nel rinviare a giudizio Luigi Compiano, ha derubricato la bancarotta ipotizzata dalla Procura, secondo cui i 37 milioni erano diventati di Nes, in appropriazione indebita aggravata.
Ultimo aggiornamento: 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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