Naice, l'ultimo stagnino, parla una misteriosa lingua di 200 parole

Martedì 17 Luglio 2018 di Paola Treppo
Giuseppe Rugo, detto il Naice, nel suo borgo natio, Tramonti di Mezzo
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TRAMONTI DI SOTTO (Pordenone) - Giuseppe Rugo, per tutti Naice, 79 anni, di Tramonti di Mezzo, borgo dove è nato e dove vive ancora oggi, è l'ultimo stagnino della Val Tramontina. «Spero di restare ancora per tanti anni "l'ultimo"» dice sorridendo mentre spiega a cosa funzionava un attrezzo e come viveva un tempo lo stagnino, che qui, sulle montagne del Pordenonese, si chiama arvâr

Impara il mestiere a 8 anni col padre?
«Sì, ho cominciato a girare con mio padre, che era un bravo stagnino, che avevo 8 anni - racconta -; quando finivo la scuola partivo con lui. Giravamo in Veneto e anche un po' nella Bassa del Friuli. Io facevo l'apprendista che, nel nostro gergo, il taplâ par tarònt, si dice gamel. Ci si svegliava presto, la mattina, alle 5. Io avevo il compito di andare con la bicicletta a cercare il lavoro a casa dei contadini; li trovavi solo a quell'ora, perché poi andavano nei campi. Se avevano oggetti e padelle da riparare te li consegnavano. Poi papà, di solito nell'arco di una giornata, li aggiustava. Ed ero sempre io che li riportavo ai "clienti", sempre in bici, e ritiravo i soldi a pagamento». 

La "cresta" per pagare la scuola?
«Mio padre mi diceva di proporre un prezzo, che potevano essere 550 lire, e in caso, se sentivo brontolare, di fare uno sconto. Lo sconto non l'ho mai fatto, ma dicevo di farlo, così tenevo per me qualche lira e, tornato a casa, avevo un  gruzzoletto per comprarmi le cose di scuola. Costava, studiare. Credevo che mio padre non se ne fosse mai accorto invece poi ho scoperto che passava anche lui, di casa in casa, per sapere se ero stato educato e se il lavoro fatto andava bene. Un giorno mi ha detto: “Guarda che lo so, cosa fai. Lo facevo anche io”. Una bella lezione anche quella per me». 

Si partiva a marzo e si tornava a Natale 
Gli stagnini partivano in marzo, da Tramonti di Mezzo, e tornavano a Natale. «All'inizio usavano un carretto che tiravano loro stessi e non partivano soli. Erano sempre in due o tre, per darsi una mano. Poi si è passati alle biciclette. Noi si lavorava tanto anche per gli ospedali e per le caserme, oltre che per i contadini. Dove c'era rame lì c'eravamo anche noi. Una volta si riparava tutto. A contatto con gli alimenti, il rame si danneggiava, o durava di meno. Allora, con uno speciale procedimento, lo si ricopriva con uno strato di stagno. Si usava un acido. E tra quello e gli altri metalli, questi poveri stagnini si intossicavano; la loro non era mai una vita lunga». 

Le fonderie di Thiene?
«Quando si spaccava il fondo della cjalderia della polenta dovevamo andare a Bassano del Grappa, Thiene, Marostica, in una fonderia a prendere il pezzo già pronto; lì serviva più di un giorno per la riparazione e ricordo che prendevo le misure molto semplicemente, con un rametto. Si calcolava la pronfondità a occhio, e andava sempre bene».

«In orgine, gli stagnini lavoravano un po' dove gli capitava: sotto una tettoia di fortuna, per ripararsi dal sole o dalla pioggia. Io e mio padre, invece, che erano già tempi "moderni" si stava in una pensione, a Mason Vicentino: per me pagava 400 lire al giorno, e lui, papà, 420 lire al giorno, perché in uno dei suoi due pasti era compreso anche un bicchiere di vino rosso». 

L'emigrazione in Svizzera  - Dopo alcune stagioni trascorse con il padre, Giuseppe è emigrato all'estero. Aveva 17 anni ed è andato a lavorare in Svizzera, vicino a Zurigo, in una fabbrica che si occupava un po' di tutto: carpenteria, falegnameria, edilizia. Nel 1974 è rientrato in Friuli e per 12 mesi Naice ha lavorato ancora in fabbrica. Poi ha vinto un concorso pubblico e fino alla pensione ha fatto il portinaio dell'ospedale di Maniago. Ha sempre mantenuto la conoscenza del mestiere di stagnino e ha sempre collezionato strumenti e oggetti di quei tempi andati.

L'alambicco e gli scaldaletto
In casa mostra un quadro di Otto D'Angelo, pittore friulano di Fagagna, che lo ritrae con il padre e con il fratello, anche quest'ultimo stagnino, mentre è in sella a una bici con le padelle di rame. Nel cortile di casa, per la festa del paese, ha messo in mostra tutti i suoi "gioielli". C'è anche l'alambicco per la distillazione della grappa, oltre agli scaldaletto di rame, dove si mettevano le braci ardenti «che a volte facevano prendere fuoco tutto». 

Il gergo degli stagnini
Spiega, a chi non lo sa, come si viveva una volta, facendo l'arvâr, e con alcuni amici parla il gergo degli stagnini che per tutti è incomprensibile. Si tratta di una parlata che conta circa 200 vocaboli e che accomuna gli stagnini di questa zona del Friuli con quello dei calderai di Isili, in Sardegna.

La misteriosa polvere
Gli stagnini, così come gli arrotini, i gue, questi ultimi prettamente resiani, vivevano di fatto costantemente in viaggio. Questo li ha portati a stringere contatti con altri ambulanti e nomadi. Si dice che gli stagnini di Tramonti avessero appreso il loro mestiere dagli zingari e che, sempre da loro, avessero ereditato una "ricetta" per realizzare una strana e misteriosa polvere usata poi per la stagnatura.

Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 15:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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